Silvio è tornato, declamano garrule le voci di petto dei tanti fans (e anche avversari) dell’ex Cav. Giusto: anzi doveroso. Che il tempo della demonizzazione venga archiviato e che trovino risalto - in particolare in politica - il rispetto della persona e il riconoscimento dello status di legittimo leader e interlocutore, è un fatto di civiltà che non può essere minimizzato. Che poi ci sia stato bisogno di una vicenda chirurgica per arrivare ad un risultato in teoria scontato o che, peggio, la malattia del Capo sia stata utilizzata per ridistribuire incarichi e responsabilità interne, è un altro paio di maniche. Magari un po’ deprimenti, ma lasciamo stare.La domanda è: Berlusconi torna (però ci vorranno una paio di mesi abbondanti di riabilitazione: giusto in tempo per il referendum costituzionale, diciamo...): per fare che? Nel tramestio di contentezze, quello che appare avere le idee più chiare in proposito è proprio lui, l’ex premier. «Adesso mi aspetta la riabilitazione, e poi sarò di nuovo utile all’Italia e agli italiani», spiega. Utile in che modo, esattamente? Questa la risposta: «L’Italia è passata dal bipolarismo al tripolarismo, assetto che vedo molto pericoloso, dove non ci sono leader cui poter affidare proprio destino. In Italia c’è una gravissima carenza di leader». Se ne deduce che l’obiettivo di Berlusconi sia riempire quel vuoto e colmare quella carenza. Cominciando fin da subito a indicare la direzione di marcia: «La riforma costituzionale e la legge elettorale potrebbero portare a un governo dei Cinquestelle, come s’è visto nelle recenti elezioni comunali». Infatti il meccanismo duale di riforma del Senato e Italicum è stato costruito «in modo tale che quello sarebbe il risultato sicuro alle prossime elezioni. Credo ci sia molto da fare all’interno del nostro Paese con amore, consenso e affetto in un momento in cui non mancano le complicità dei giornali che non fanno che far emergere tutti i giorni il peggio».L’ultima frase fa parte del repertorio d’antan di Berlusconi, perciò passiamo oltre. Il punto politico è che l’ex presidente del Consiglio indica fin da subito gli obiettivi da perseguire, che poi sono il No al referendum e l’abbattimento del meccanismo elettorale che ha sostituito il Porcellum. Parla ai suoi, ma il destinatario del messaggio è Matteo Renzi: così com’è, il ballottaggio alle politiche farà vincere Grillo, ti conviene?In un sol colpo la “dottrina Confalonieri”, quella che auspicava un riavvicinamento con l’inquilino di palazzo Chigi anche (e/o soprattutto?) ai fini di salvaguardare le aziende Mediaset, viene cancellata perché poche ore prima, alla Direzione del Pd, Renzi ancora una volta ha legato la sua permanenza al governo al successo nel referendum e al mantenimento della legge elettorale: dunque è evidentemente impossibile trovare un’intesa su quel fronte.Ma quale altro fronte rimane? Sulla possibile leadership futura neanche a parlarne: il pensiero di Berlusconi è noto, quella lacuna la può colmare solo lui o un suo clone. Dunque? Ci sarebbe la politica, l’esercizio di persuasione verso i possibili alleati e di riconquista dei consensi perduti. Ma è proprio quello il terreno maggiormente deficitario e, analizzando la situazione finalmente dal salotto di Arcore, Berlusconi non potrà che verificarne l’ampiezza. Perché finora i fatti hanno dimostrato che quando Silvio si mette a rimorchio di Matteo Salvini o di Giorgia Meloni, come accaduto sul palco di Bologna, viene risucchiato in un angolo estremista che ne appanna la fisionomia moderata e l’agibilità politica fin quasi a farla scomparire. Se invece prova a divincolarsi e a riproporre una sua autonomia d’azione, il risultato rischia di essere perfino peggiore. Valga per tutti il caso di Roma, dove l’appoggio dato ad Alfio Marchini invece di produrre una vittoria ha messo piombo nelle ali del candidato sindaco.Questa situazione viene di solito smontata dai più influenti collaboratori dell’ex Cav tirando fuori i risultati di Milano. Che diventa, perciò, sia modello che bussola da seguire. Solo che però, seppure di poco, anche a Milano il centrodestra formato king size ha perso. Che il giorno dopo Salvini - che pure in quelle urne non ha avuto granché fortuna finendo doppiato da Forza Italia - abbia ripreso a cannoneggiare il fortino berlusconiano e soprattutto che l’uomo che più di tutti ha incarnato le possibilità di rivincita, Stefano Parisi, dalle colonne del Corriere abbia ammonito che «il centrodestra deve avviare una riflessione profonda e qualificata da proporre agli italiani, un progetto liberale e popolare. Deve essere alternativo al centrosinistra e lo deve fare con una rigenerazione delle persone e un’attualizzazione della proposta di governo». Insomma bisogna ricominciare daccapo, o giù di lì. In particolare cercando di debellare il male che da dentro sta corrodendo FI, cioè la tentazione dell’elettorato rimasto fedele di gettarsi nelle braccia dei Cinquestelle (lasciando qualche scampolo anche a favore della Lega) pur di liberarsi del Moloch renziano. Nei ballottaggio delle amministrative, quel un meccanismo è scattato con inesorabile precisione. Il medesimo che, se riproposto, può consegnare il centrodestra targato B. all’album dei ricordi.