Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, papabile per la prossima presidenza della Commissione se dovesse cadere l'ipotesi della riconferma di Ursula von der Leyen, incarna l'anima del Ppe più favorevole all'incontro con i Conservatori, l'eurogruppo di Giorgia Meloni. Per dirla in soldoni: se c'è una leader europea che per la premier proprio non andrebbe attaccata è lei. Impossibile credere che Salvini non ne fosse lucidamente consapevole quando, due giorni fa, ha deciso di intervenire a gamba tesa accusandola di «cercare l'inciucio con la sinistra».

Metsola, in Italia, è impegnata in un inedito “giro nel sud” con l'obiettivo, ribadito ieri di «unire le persone, avvicinare l'Europa ai cittadini». Senza aggirare critiche e autocritiche: «Capisco le frustrazioni dei cittadini in alcuni dei nostri processi decisionali. Voglio essere onesta su dove abbiamo fatto bene e dove possiamo fare meglio». La formula è molto diplomatica e quando la presidente, intervistata dal Corriere della Sera, arriva al nodo Salvini il commento diventa ancora più felpato: «Non l'ho presa come una critica». Oggi la presidente dell'europarlamento incontrerà Giorgia Meloni a palazzo Chigi. Il colloquio toccherà certamente l'immigrazione, perché i Popolari sono fondamentali per quella svolta dell'approccio europeo al quale mira sin dall'inizio del mandato la premier italiana. Ma è quasi inevitabile che sul tavolo finisca anche una questione più incombente, cioè la riforma del Patto di Stabilità, arrivata all'ultimo tratto: o tra giovedì e venerdì si arriva a una quadra oppure il temuto rischio di non farcela entro il 31 dicembre diventa una elevata probabilità.

La presidente non ha voce in capitolo direttamente. La faccenda compete al Consiglio, il summit dei capi di governo, e prima ancora a Ecofin, il vertice di ministri delle Finanze, quello che si riunirà informalmente nella notte tra il 7 e l' 8 dicembre. Ma in una partita di questo genere ogni appoggio, anche indiretto è prezioso e quello del Parlamento europeo e della sua presidente non è certo in fondo alla lista come peso specifico.

Il nervosismo e l'irritazione che la premier, senza esporsi direttamente, ha lasciato trapelare dopo gli attacchi all'Europa prima e direttamente a Metsola poi derivano certamente dal timore che le intemperanze del vicepremier incidano negativamente su una trattativa che è già molto delicata.

Stando a quel che il ministro dell'Economia ha detto ieri in Parlamento, l'obiettivo dell'Italia non sarebbe più ottenere lo scorporo delle spese per la riconversione verde e digitale dal conto del deficit, traguardo evidentemente considerato non raggiungibile, ma una proroga automatica da 4 a 7 anni «senza l’imposizione di ulteriori condizionalità, ma solamente in base all’impegno dello Stato membro a continuare lo sforzo di riforma e di investimento intrapreso con il Pnrr» e comunque in un quadro di bilancio che «non dovrà essere impossibile».

Non bisogna però credere che Salvini sia sia lanciato alla cieca, senza considerare nulla se non il proprio tornaconto a breve nelle prossime europee. La fercciata contro Metsola rimanda invece a una strategia precisa. Il leghista sa che, dopo le elezioni, le pressioni sui Conservatori perché aderiscano a una maggioranza Ursula, sempre che sia necessaria, diventeranno pressanti e sa anche che la premier sta contraendo con una Ue sin qui tutt'altro che rigida debiti che arriveranno a scadenza proprio in quella eventuale circostanza. Dunque mette le mani avanti, preparandosi ad attaccare, pur senza staccarsi dalla maggioranza, se davvero i Conservatori dovessero finire a braccetto con il Pse. Se poi quella maggioranza ibrida non fosse necessaria, cioè se Ppe e Conservatori andassero vicini alla maggioranza abbisognando solo dell'appoggio, magari esterno, dei sovranisti di Identità e Democrazia, l'eurogruppo di cui fa parte la Lega, il vicepremier si prepara a mettere gli alleati in Italia alle strette per forzarli a ripetere in Europa la stessa formula. Sembra presto per dispiegare strategie europee e lo è ma solo in parte. Salvini si è già bruciato una volta per aver sottovalutato il tavolo di Bruxelles. Stavolta vuole arrivare preparato. Certo la precondizione sarebbe un successo tondo del suo eurogruppo. Ma se i sondaggi saranno confermati, non tanto da noi quanto in Francia e Germania, non si tratta di un obiettivo fuori portata.