Nell’area draghiana, al momento, ci sono più sigle e leader che elettori. Un «fritto misto» che rischia l’irrilevanza politica, da cui Calenda ha deciso di tirasi fuori

Al centro, ancora tutto da definire. Nel suo perimetro c’è ormai un traffico così intenso che si è persa la possibilità di qualsiasi tipo di orientamento. Tanto che lo stesso pilastro sul quale si sta immaginando, da mesi, la possibilità della costruzione di un’area Draghi, ha ceduto negli scorsi giorni: «No al fritto misto». Con queste parole Carlo Calenda, leader di Azione, ha voluto stoppare gli ingressi, seppure virtuali, di una pletora di personaggi che si stanno staccando da partiti e coalizioni in attesa di un futuro migliore.

Dentro Azione il parlare di centro o di ulteriori contenitori politici da parte del governatore della Liguria Giovanni Toti, dallo stesso Luigi Di Maio che ha incontrato il sindaco di Milano Giuseppe Sala per confrontarsi sul tema, è quasi un elemento di disturbo.

Ne è convinto Calenda, ma anche gli uomini a lui più vicini: «In questo momento sul piatto non ci sono programmi politici o progetti di coalizione, ma soltanto la necessità di salvaguardare i posti da parlamentari alle prossime elezioni politiche», dice uno di loro.

La riforma costituzionale, fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, ha di fatto ridotto in maniera corposa il numero di deputati e senatori e le possibili riconferme future saranno pochissime. Del resto è questo il tema che sta agitando anche i partiti principali di centrodestra e centrosinistra che vivono una crisi senza precedenti. Lo stesso progetto di una possibile federazione tra Forza Italia e Lega, a destra, avrebbe lo scopo di garantire il maggior numero di seggi possibili per due partiti che rischiano di essere marginalizzati dallo strapotere di Fdi e di Giorgia Meloni.

E così al virtuale centro italico, di cui si discute da circa 20 anni senza che poi venga mai realizzato, hanno cominciato a guardare i governisti di tutto l’arco costituzionale che sostiene al momento il governo Draghi. La Lega è arrivata quasi alla scissione qualche settimana fa e le posizioni del ministro per lo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, sostenuto dai governatori del Nord del Carroccio, sono parse sempre più inconciliabili rispetto a quelle sostenute dai parlamentari leghisti di cui si è fatto portavoce il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. Deputati e senatori della Lega hanno presentato a Mario Draghi un pacchetto di richieste da esaudire per avere ancora il loro pieno appoggio.

Poi ci sono i cespugli di destra, cominciando da Noi con l’Italia di Maurizio Lupi che continua a guardare ai movimenti centristi criticando «la presenza di troppi leader», ma che non smette di sostenere, con i suoi e anche con i moderati di Fi, che Mario Draghi va considerato una risorsa che non può essere lasciata al centrosinistra.

Se a questo quadro già complicato si aggiungono poi le posizioni ondivaghe di Italia Viva e i contrasti di Matteo Renzi con Carlo Calenda si capisce che mettere insieme un’area così composita e con troppi aspiranti leader è impresa che pare impossibile.

Per arrivare all’obiettivo potrebbe immaginarsi un solo scenario possibile. Intanto Mario Draghi dovrebbe superare l’attuale momento di s tallo e trovare le condizioni migliori per concludere la legislatura sia in termini temporali che di qualità dei provvedimenti da mettere in campo da qui alla prossima primavera. In secondo luogo la maggioranza che sostiene attualmente il governo dovrebbe essere in grado di mettere in campo una riforma della legge elettorale in senso puramente proporzionale. Con l’attuale sistema elettorale, l’area di centro, con tutte le sue difficoltà di gestazione, non solo difficilmente vedrebbe la luce, ma in ogni caso sarebbe condannata all’ininfluenza. E lo scenario cambierebbe di poco se la riforma elettorale avvenisse nel senso di un proporzionale con premio di maggioranza e quota di sbarramento. Anche in questo caso le possibilità per un’eventuale area di centro di fare arrivare parlamentari a Roma, in numero sufficiente per avere un peso reale, sarebbe molto remota.

E proprio sulla percentuale da attribuire alla quota di sbarramento si potrebbe giocare la partita decisiva. I contatti sotto banco tra Pd e Lega portano a immaginare una quota del 5 per cento, mentre i partiti minori non la vorrebbero oltre il 4. La nascitura area di centro, insomma, potrebbe essere stroncata sul nascere dagli accordi tra i principali partiti che potrebbero voler puntare, comunque, ad un Parlamento con il minor numero di forze possibili. Ed in questo caso tutti gli esponenti dell’area Draghi sarebbero costretti a disporsi all’interno dei principali partiti o a trovare con essi accordi di coalizione. Con buona pace del contenitore di centro di cui tornerebbe a discutersi alla prima crisi della prossima legislatura.