Dai sondaggisti arriva un'unica certezza: nessuno sa se vincerà il Sì o il No al referendum. Un dubbio che forse si scioglierà solo all'alba del 5 dicembre, a fine spoglio. Eppure tutti ragionano su quel che accadrà se vince il No trascurando lo scenario opposto. Se vince il No sappiamo già tutto. Renzi si dimette, piaccia o no a Renzi, ai suoi amici, ai suoi nemici. L'Italia è troppo importante per essere governata da chi viene bocciato dal popolo espressamente interrogato. Troppo alto il costo che pagherebbe il paese in caso contrario. La lezione di Londra e Cameron, del resto, non lascia dubbi, tranne per chi ha interesse. Tutta la sinistra del No, per esempio, giura che Renzi non si dimetterà e dice che non si deve dimettere: così si evita l'imbarazzante domanda su quale maggioranza potrebbe sostituirlo.Ma se vince il Sì? Apparentemente, niente scosse. Il governo c'è e si va avanti come prima. Ma solo apparentemente perché s'innescherebbero processi di modifica profonda del quadro politico. Intanto diventerebbero drammatici due punti: legge elettorale (che potrebbe anche minare l'attuale governo creando tensioni con Alfano e Verdini); e possibili scissioni dell'area del No di sinistra dall'area Pd (minoranza Dem, Cgil, Libera di Don Ciotti, Anpi, pezzi di magistratura, ecc.)Ma procediamo con ordine. Renzi, se vince il Sì, conoscerebbe una crescita di consenso (agli italiani piacciono i vincitori e di solito saltano sul suo carro per aiutarlo). Si giocherà il vantaggio subito (prima che ricominci a sfumare) con un azzardo pericolosissimo per il paese? In questo caso, fermo restando l'Italicum, la vittoria sarebbe o sua o del M5s. Anzi, più del M5s che sua. Nessun'altra possibilità. Troppo rischioso. Se invece - ed è lo scenario più probabile - tenterà di arrivare al 2018, immaginando per quella data un allentamento delle tensioni sociali, magari grazie alle riforme referendarie, dovrà fare i conti (al di là delle decisioni della Consulta) col nodo complicato e comunque pericoloso della modifica elettorale.Il M5s chiederebbe di tenere fermo l'Italicum col ballottaggio, unica speranza per realizzare l'ultima promessa di Grillo di un M5s di governo. La minoranza Dem e gli alleati di Renzi al governo (Alfano e Verdini) ma anche, e con forza, il centro destra chiederebbero, invece, una legge diversa o, come minimo, di spostare il premio di maggioranza dalla lista più votata alla coalizione vincente e (soprattutto la minoranza dem) di cancellare le pluricandidature. Altro e diverso l'interesse di Renzi: tenere fermo il ballottaggio con premio di maggioranza alla lista più forte (Pd), cedere sulle pluricandidature e, insieme, disarmare il pericolo grillino. Impossibile? Non è detto. Nessun analista ha preso in seria considerazione, nel diluvio di proposte per una nuova legge elettorale, il Provincellum accreditato dal professor D'Alimonte, inventore dell'Italicum e fiduciario di Renzi sui sistemi elettorali, con un intervento su Sole24. Rispetto all'Italicum il Provincellum ha significativi vantaggi. Tiene fermo il ballottaggio col premio alla lista più forte. Promuove l'uninominale generalizzato cancellando voto di preferenza e pluricandidature blindate. Moltiplica le difficoltà per chi è privo di radicamento nella società, come il M5s. La vulgata del premier che si sceglie i parlamentari mettendo in pericolo la democrazia andrebbe in polvere.Un Renzi che diventa molto più forte, perché ha vinto il Sì, con la prospettiva di restare in sella un bel po' o che perde tutto coi 5s spingerebbe l'area politica, e soprattutto quella sentimentale dei dem (il termine è dalemiano) verso la scissione? Gl'interessati dicono di no. Ma la logica dello scontro e le aspettative dei seguaci spingono in quella direzione. Che la minoranza dem e il suo contorno non vogliano la scissione è vero. Nell'intera storia della Repubblica le scissioni da sinistra sono sempre fallite. Partiti e gruppi che da quelle scissioni sono nati, tranne che per contingenze momentanee e straordinarie non hanno mai avuto ruolo significativo. Difficile immaginare che Bersani o D'Alema vogliano imitare Mario Capanna o Vendola. Ma è difficile immaginare che i due - il primo, che considera pericolosa la concezione di Renzi della democrazia; il secondo, che lo considera pericoloso e basta - possano alla fine accettare di stare in un partito in cui la forza di Renzi, rispetto a quella attuale, è cresciuta. E questo potrebbe riaprire ancora una volta tutti i giochi della nostra infinita transizione.