Il Consiglio dei ministri ha approvato una norma sulla trasparenza dei prezzi ai distributori, una misura, si è appreso da palazzo Chigi, a vantaggio dei consumatori per tenere alta l'attenzione sui prezzi dei carburanti. 

In sostanza i gestori dei distributori saranno obbligati ad esporre accanto al prezzo di vendita dei carburanti anche il prezzo medio nazionale. In caso di violazione, sono previste sanzioni per i recidivi, con possibilità di sospendere l'attività da 7 a 90 giorni. In autostrada inoltre ci sarà un tetto al prezzo dei carburanti calcolato sulla media nazionale. Il Cdm ha anche approvato un decreto che rinnova per il primo trimestre di quest’anno i buoni benzina per un valore massimo di 200 euro per lavoratore dipendente. 

Ma nel governo cominciano a chiedersi se non sia stato un grosso errore da ogni punto di vista eliminare la norma sulle accise che permetteva di tenere sotto controllo il prezzo del carburante. Nonostante alcuni esponenti di primo piano di FdI e della Lega si affannino a trovare spiegazioni macchinose, la ragione di quella scelta è una e una sola: il taglio delle accise costa molto, moltissimo, un miliardo al mese e forse anche di più. Mantenere quella norma avrebbe voluto dire svuotare del tutto il già magrissimo portafogli della manovra. Il governo ha deciso di rischiare, scommettendo sul calo del prezzo del gas e del petrolio. È stata una scelta molto arrischiata e la squadra di Giorgia se ne sta rendendo conto.

In realtà l'inquietante domanda, «abbiamo sbagliato?», è quasi retorica e per molti motivi. Nulla più del prezzo del carburante spinge l'inflazione per il semplice motivo che nessun aumento è avvertito da tutti e subito in pari misura. La soluzione consistente nel fronteggiare la speculazione è più o meno inesistente: il governo può intervenire su scelte che aggirano l'antitrust ma sulla speculazione in sé c'è poco da fare: è il capitalismo bellezza, è il libero mercato.

Sul piano mediatico la strada imboccata rischia di rivelarsi persino più rovinosa. Il governo, nella sua prima legge di bilancio, ha sacrificato ogni obiettivo dei partiti di maggioranza, limitandosi a “segnali” e “indicazioni”, per concentrare il grosso della somma a disposizione sulla lotta al caro energia. Il ritorno positivo di immagine è però inficiato da un aumento che tocca praticamente tutti, del quale si accorgono immediatamente tutti e che si tira dietro ulteriori aumenti a pioggia. La stessa giustificazione addotta dai governanti, il fatto cioè che tagliare le accise risulterebbe ingiusto perché avvantaggia sia chi viaggia in utilitaria che chi si sposta con la Maserati, è in realtà un'arma a doppio taglio. Gli aumenti, di solito, vengono avvertiti con diversa urgenza e immediatezza dalle diverse fasce di popolazione. Il carburante rappresenta una delle poche voci che invece riguarda tutti e provoca dunque un'unanime reazione di fastidio. Gli esiti del rincaro poi sono anch'essi del tutto “ingiusti”. Come sempre nell'inflazione l'aumento di prezzo è uguale per tutti ma il danno che comporta, e il conseguente disagio, non sono affatto uguali.

Il rischio è dunque doppio: da un lato un'impennata dei prezzi che innalzerebbe di molti gradi il rischio di crisi economica e sociale, dall'altro un calo dei consensi nei confronti del governo e in particolare della premier che sin qui continuano a salire. C'è infine un rischio in più. Non ci sono dubbi su quanto poco Salvini gioisca del consenso di cui gode oggi l'alleata-rivale. Ce ne sono ancor meno sulla speranza di poter cogliere presto un'occasione per rovesciare il trend anche se il leader della Lega si rende certamente conto di poterlo fare solo con alle spalle il consenso almeno di una larga parte dell'elettorato di destra. Nulla si presta allo scopo più dei rincari e dell'aumento del prezzo della benzina in primo luogo. Se l'impennata dei prezzi non si fermerà presto fibrillazioni interne alla maggioranza sono del tutto possibili e anzi prevedibili.

Per la premier sarebbe un guaio serio. L'estabishment italiano e quello europeo stanno optando per una preziosa apertura di credito dovuta essenzialmente alla possibilità concreta che proprio la leader sulla carta più radicale della destra italiana si dimostri capace di imbrigliare e domare le spinte centrifughe e populiste nella sua maggioranza. Se si diffondesse una sensazione opposta, anche il credito concesso a Giorgia Meloni si esaurirebbe rapidamente.

D'altra parte rimangiarsi la decisione sulle accise non significherebbe solo dare per l'ennesima volta prova di confusione e goffaggine. Vorrebbe anche dire mettere in bilancio una voce tale da far sballare conti e previsioni. È questo il dilemma di fronte al quale il governo già si trova ma che, senza una discesa dei prezzi, potrebbe diventare prestissimo molto più stringente.