«Nessuna distanza». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intercettato ieri dai cronisti a Montecitorio, si affretta a negare che negli ultimi tempi vi siano stati degli attriti con la presidente del Consiglio. Una risposta di circostanza, visto che difficilmente sarebbe risultato plausibile qualsiasi altro tipo di affermazione. Ma nella risposta più neutra di Giorgia Meloni, di passaggio anch'essa alla Camera per un convegno, si può intuire che tra i due vi sia stato un faccia a faccia - nell'ipotesi più all'acqua di rose - molto franco. «Con Nordio - ha detto la premier - abbiamo fatto una riunione tre giorni fa, dopo il Consiglio dei ministri, sulla riforma della giustizia e gli altri temi».

E a chi la incalzava chiedendole se i due avessero affrontato anche il tema degli accessi illegali ai dati sensibili di un numero vastissimo di politici e vip, ha risposto confermando che i due hanno «parlato di tutto». Difficile pensare che la premier, nel suo stile senza fronzoli e poco edulcorato, non abbia fatto presente al Guardasigilli l'inopportunità politica di alcune sue uscite degli ultimi tempi, prima fra tutte il sostegno energico alla costituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare sul dossieraggio.

Da Palazzo Chigi insistono nel dire che tra Meloni e Nordio non c'è un problema politico propriamente detto e che le voci su una possibile sostituzione dell'attuale Guardasigilli con un esponente di Forza Italia sono campate per aria. E in effetti, dopo lo scontro asperrimo avuto con Silvio Berlusconi ai tempi della formazione del governo, per evitare di mettere un protégé del Cavaliere a via Arenula, con tanto di “vaffa” indirizzato dal defunto leader di FI a Ignazio La Russa e l'ormai famosa frase «io non sono ricattabile» inviata da Montecitorio ad Arcore dalla Meloni, un avvicendamento suonerebbe come clamoroso e incoerente.

Nessuna distanza, si potrebbe dire, ma nemmeno nessuna vicinanza: si può però correre ai ripari, tentando di contenere una certa vena anarchica del ministro nel modo di comunicare. È opinione comune, a via della Scrofa, che Nordio sia persona estremamente preparata e colta, ma il suo digiuno di pratica politica ne stia ora esaltando più che altro l'aspetto naïf, con la conseguenza di creare dei casi politici talvolta piccoli e rimediabili da Chigi ( leggi il sottosegretario Alfredo Mantovano) senza affanni, ma talvolta decisamente complicati, come per la guerra totale alle intercettazioni o, per l'appunto, il sostegno alla commissione sul dossieraggio in sintonia con Salvini e Renzi. Quest'ultimo, da vecchia volpe qual è, aveva già preparato l'evento d'impatto alla Leopolda per brandire Nordio contro la premier sul palco della Leopolda ( come già fatto per la separazione delle carriere) ma l'operazione è stata sventata da Piazza Colonna all'ultimo minuto.

Ciò che preme di più a Giorgia Meloni in questa fase ( e che probabilmente è stato rappresentato nel faccia a faccia di quattro giorni fa) è che nella campagna elettorale permanente con vista sulle Europee che è diventato ora il dibattito politico, ogni mossa avventata, ogni affermazione non concordata o per lo meno non denunciata può trasformarsi in una involontaria polpetta avvelenata per la presidente del Consiglio. Che non ha certo Renzi e la Leopolda in cima alla proprie preoccupazioni, bensì Matteo Salvini e la disperata ricerca di quest'ultimo di ampia agibilità politica, laddove Palazzo Chigi ha le mani legate.

L'offensiva politica è già partita: in questi giorni il leader leghista presidierà il Veneto con una serie di iniziative politiche, proprio mentre al Senato in aula è in corso l'esame del Dl elezioni col famigerato emendamento leghista sul terzo mandato, che già una volta ha spaccato la maggioranza e seccato gli alleati in commissione. Ieri pomeriggio è intervenuto alla conferenza organizzativa del Carroccio nel Lazio, per serrare le fila ed evitare che anche nella regione della Capitale il gap con Forza Italia diventi troppo grande. E poi due appuntamenti che daranno il segno di come il Capitano vorrà impostare la competizione per le Europee: questo sabato a Milano arringherà i giovani del partito in un evento il cui titolo è tutto un programma (“Politicamente ribelli – come l'Europa non ci vuole”) e il 23 marzo a Roma la kermesse delle forze aderenti all'Eurogruppo Id, alcune delle quali decisamente indigeste agli altri due leader del centrodestra, a partire dai tedeschi di Afd e da altri partiti in alcuni casi criptoputiniani.

In questo contesto, anche caldeggiare l'istituzione di una commissione d'inchiesta può essere un modo per tentare di acquisire un vantaggio politico su Giorgia Meloni, che a suo tempo ha voluto a tutti i costi la presidenza dell'Antimafia per la sua pupilla Chiara Colosimo, ricordando anche che la stagione dell'inizio del proprio impegno politico fu dovuta proprio alla reazione alle stragi di Mafia degli anni 90. Le legislature passate hanno dimostrato che, per una forza politica, controllare una commissione d'inchiesta o di vigilanza è vantaggioso, e non è un caso che in passato Lega e FdI si siano scontrate duramente su questo terreno. Prendiamo il Copasir: tre anni fa il Carroccio entrò nel governo Draghi e fu costretto a lasciare la guida del Comitato al meloniano Urso. Volarono gli stracci, coi leghisti che non lo votarono per ripicca.

Un episodio che a via Bellerio non hanno dimenticato, così come non hanno dimenticato che FdI non ha esitato a spingere per la commissione d'inchiesta sul Covid, e in quel caso nessuno ha sollevato questioni di opportunità o di tempistica. Una serie di considerazioni che Nordio non aveva fatto e su cui è stato, molto probabilmente, catechizzato a dovere dalla premier.