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Elly e Giuseppe sognano il colpaccio. Annusano l'aria, scrutano i sondaggi, sperano. Per questo all'ultimo momento avevano graziosamente offerto la loro “disponibilità” a una manifestazione comune per chiudere la campagna elettorale, evento che sino all'ultimo, nonostante l'isola sia il principale banco di prova della loro auspicata alleanza, avevano ritenuto entrambi poco opportuno. Scommette su se stessa anche Alessandra Todde, la candidata a cinque stelle indicata da Conte ma scelta dalla base sarda sulla quale la segretaria del Pd ha deciso di convergere, destando non poche perplessità nel suo partito. Proprio perché ritiene di potercela fase rovesciando ogni pronostico, la candidata ha cortesemente rifiutato la generosa offerta dei leader: «Grazie ma preferiamo chiudere la campagna da soli».
Mossa comprensibile: a mettere il piombo nelle ali della destra è soprattutto la scelta imperiosa della premier che ha imposto il suo candidato, il sindaco di Cagliari Truzzu, mettendo alla porta il presidente uscente Solinas. Il Partito sardo d'azione la ha presa malissimo e la crociata contro i candidati paracadutati da Roma ignorando le istanze del territorio è anche il ritornello venefico di Soru, il candidato outsider la cui scesa in campo in dissenso dalle indicazioni della segreteria ha spaccato il centrosinistra e sembrava sino a ieri averne già decretato la sconfitta. Ma all'improvviso il vento sembra essere cambiato e solo domenica sapremo se quella dei leader del centrosinistra è una sensazione fondata o un classico wishful thinking.
Di certo però non sbagliano quando pensano che una vittoria a sorpresa in Sardegna cambierebbe se non proprio tutto certo molto, anzi moltissimo. Intanto perché la Sardegna, regione di media importanza in sé, ha giocato spesso un ruolo importante nella politica italiana. Qui, nelle elezioni del 1998, è caduto Walter Veltroni. Qui, proprio con l'elezione di Soru nel 2004, era iniziata l'ascesa dei sindaci e governatori outsider, capaci di imporsi sui calcoli politichesi del centrosinistra.
La vittoria, poi, imprimerebbe uno slancio forse definitivo alla marcia di avvicinamento tra i leader del Pd e del M5S. Che l'alleanza, pur se inevitabile a norma di pallottolliere, crei dubbi e mal di stomaco in entrambe le formazioni è noto e l'unico argomento in grado di aver rapidamente ragione di ogni resistenza è la prova dei fatti: una imprevista vittoria elettorale contro ogni pronostico.
Per Giorgia Meloni sarebbe invece un esito disastroso. È ormai evidente che lo stile della premier è opposto a quello di Silvio Berlusconi. Lei media poco ed è quasi sempre tentata dal far valere i rapporti di forza imponendo il suo volere. La donna inoltre è testarda: quando imbocca una strada farle cambiare indirizzo è quasi impossibile. La sconfitta di Truzzu sarebbe più sua che dello stesso sindaco di Cagliari e desterebbe una quantità di dubbi anche sulla scelte future, in particolare su quella di bocciare il terzo mandato inimicandosi la Lega e col rischio di ritrovarsi l'onnipotente governatore Zaia contro, se non come candidato, con una sua lista. Per la Lega sarebbe l'occasione perfetta per reclamare il cambio di marcia, il passaggio a una direzione più collegiale, cioè a uno stile contrario sia al carattere che alla visione verticistica della premier. L'effetto destabilizzante nella maggioranza sarebbe insomma garantito. C'è di peggio. Da ben prima delle elezioni del 2023, Meloni naviga col vento in poppa. I sondaggi segnalavano da un pezzo l'irresistibile ascesa poi confermata dal voto reale. Ma da questo punto di vista l'elettorato italiano è tra i più infidi al mondo: dà corpo a correnti impetuose che però hanno il difetto di capovolgersi in maniera repentina e altrettanto possente: ne sanno qualcosa Renzi, Salvini e lo stesso M5S della prima fase, soppiantato da un Movimento di Conte che con quei 5S delle origini ha in comune solo il nome. In Italia la sensazione che il vento spiri all'improvviso in direzione opposta è sempre la più pericolosa, perché una volta destatasi immancabilmente si gonfia automaticamente e sempre di più. Una sconfitta in Sardegna suonerebbe come prova che quel cambio di vento è iniziato e per Giorgia Meloni sarebbe il peggiore dei segnali.