Dal quartier generale di Antonio Tajani assicurano che i sondaggi, stavolta, non c'entrano niente. Quelli, garantiscono, sono anzi del tutto confortanti, lo sprint iniziato sull'onda emotiva della scomparsa del gran capo non si sarebbe affatto esaurito e anzi, dopo mesi, lo si dovrebbe considerare stabilizzato. Il particolare non è secondario perché proprio un responso molto infausto dei sondaggi, che per Forza Italia hanno da sempre un peso impareggiabile, era sembrato a botta calda la spiegazione più plausibile per l'intemerata di Antonio Tajani.

Partito in sordina, il nuovo leader di Fi ha aumentato di giorno in giorno il volume di fuoco e un paio di giorni fa è arrivato all'alzo zero. «Nessuno in Europa farà mai un accordo con Marine Le Pen e AfD. Neanche io farò mai un accordo con AfD» : sin qui nulla di nuovo, anche se a Tajani certo non sfugge che, sul versante opposto della maggioranza, Salvini ripete anche lui a ritmo quotidiano che per le europee non possono esserci veti. La differenza sta nei toni. Parlando della proposta del portavoce di AfD sui bambini disabili, le classi differenziali, il vicepremier adopera parole che dalla sua diplomatica bocca non si erano mai sentite: «È una vergogna. Mi fa schifo. Hanno una cultura nazista. È una cosa indegna». Non l'ha mandata a dire.

Giorno dopo giorno il leader azzurro ha anche moltiplicato le critiche alla tassa sugli exprofitti. All'inizio quasi la sosteneva, in quanto «correzione degli errori della Bce», cioè dell'eccessivo rialzo dei tassi. Il cavallo di battaglia di Fi resta quello ma le bordate contro la tassa sono diventate sempre più decise e mirate fino all'accusa di ieri: «Non hanno aspettato la chiusura delle borse per l'annuncio». Un plurale significativo perché coinvolge evidentemente sia la premier, che pure rivendica in solitaria la responsabilità della scelta, sia l'alleato/ arcinemico Salvini.

Ma se non sono stati i sondaggi a trasformare il mite Tajani in un guerriero a cosa si deve la sterzata? La tempistica parla da sola: la furia del vicepremier è stata innescata dalla tassa sugli extraprofitti. Certo, sullo sfondo capeggiano le Europee e il vicepresidente del Ppe avrebbe comunque sparato a palle incatenate su quello che è oggi il massimo incubo del Ppe, l'eventualità di una folgorante ascesa dell'Afd a spese proprio della Cdu. È altrettanto sicuro che un leader nella scomoda condizione di dover sostituire non un qualsiasi capo carismatico ma Silvio Berlusconi sia costretto, che gli piaccia o meno, ad alzare la voce. In una certa misura l'offensiva sarebbe stata scatenata comunque ma la vicenda della tassa per le banche ha aggiunto un tasso di furia reale che rende gli attacchi di questi giorni diversi dalla classica sceneggiata pre- elettorale. Di motivi per imbufalirsi quella vicenda ne ha offerti parecchi e il principale, pur se il meno vistoso in pubblico, si chiama Mediolanum.

Tajani sarà pure il leader ma padrona del partito azzurro è la famiglia e i Berlusconi non hanno affatto gradito che i loro interessi fossero lesi da un governo di cui Fi è parte integrante. Per restare in sella anche dopo il congresso Tajani proprio non può permettersi di deludere gli azionisti di maggioranza. Un secondo problema serio è rappresentato dall'elettorato rimasto fedele al partito azzurro: uno zoccolo duro molto meno variegato della moltitudine di un tempo. Oggi gli elettori di Fi sono la componente della destra effettivamente più moderata, dunque sideralmente distante da AfD, ma anche più liberista, quella che di fronte a un intervento come quello sugli extraprofitti reagisce malissimo a prescindere.

L'elemento decisivo non è stato però il merito ma il metodo. La premier non solo ha proceduto senza neppure avvertire l'alleato ma ha anche rivendicato il blitz ammettendo francamente che mettere troppa gente al corrente del provvedimento in arrivo avrebbe significato rendere la strada molto più difficile. Tajani si è sentito, e certo non senza ragione, trattato come un alleato minore, importante sì ma non essenziale. Ha capito al volo il peso enorme del precedente e ha deciso di impuntarsi subito, ora con le dichiarazioni incandescenti, a settembre con le trattative e se necessario gli emendamenti tesi a depotenziare ulteriormente il prelievo, ben sapendo che in caso contrario quella della tassa non sarebbe rimasta un'esperienza isolata.