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LaPresse
Il disastro in Basilicata è lo specchio della giungla nella quale si muove Elly Schlein. Se si trattasse solo della Lucania, regione tra le più piccole con un elettorato pari a 550mila aventi diritto, il problema sarebbe contenuto, per quanto ogni regione sia importante e ogni test sia destinato ormai ad assumere, non importa se a buon diritto o meno, rilievo nazionale. Ma le cose sono ben più gravi perché lo stesso quadro si ripropone un po' ovunque. In Basilicata è la famiglia Pittella che da sempre fa il bello e il cattivo tempo e mettersela contro, come ha deciso di fare il Pd candidando Domenico Lacerenza, significa avere quasi la certezza della sconfitta. A Bari sono le aree che gravitano intorno al governatore Emiliano. A Firenze i renziani che nel capoluogo toscano vantano una forza reale. Inutile continuare con un elenco lungo quanto la carta geografica della penisola.
Si potrebbe obiettare che dovendo trattare con i gruppi di potere meglio che siano comunque interni al partito che non esterni come in Basilicata. È vero solo fino a un certo punto, perché il Pd è un partito balcanizzato non per modo di dire e nella struttura: l'autonomia dei gruppi di potere locali è assoluta e ne sa qualcosa il responsabile Enti locali del partito Baruffi, uomo di fiducia della segretaria, che è arrivato in Basilicata per suggerire la linea ed è stato respinto con perdite e in malo modo. Non si tratta di una debolezza della leader, che anzi è oggi più forte di quanto non sia mai stata all'interno del partito, con spezzoni di opposizione o di “schleiniani scettici” che si avvicinano o riavvicinano alla segretaria, come sempre capita quando una leadership si rinsalda e consolida. Basti dire che al Senato, roccaforte della minoranza, a combattere la battaglia del leader Bonaccini per il terzo mandato è stato uno sparutissimo drappello. Il problema è piuttosto la struttura stessa del Pd, nella quale non manca l'autorità del capo di turno ma quella del partito in sé: la capacità di far prevalere l'interesse centrale e generale su quelli locali e particolari.
Dall'altro lato c'è Conte, con la sua determinazione nell'imporre le sue scelte anche a costo di entrare in rotta di collisione con un potentato locale decisivo come i Pittella in Basilicata. Elly ha da questo punto di vista quanto meno preso una decisione: far prevalere sempre e comunque l'obiettivo strategico dell'alleanza con il M5S, anche pagando prezzi alti. Se si tratti di una scelta giusta o suicida è impossibile dirlo oggi. anche se sottomettersi ai diktat di un partito che non solo non è più quello degli anni '10 ma neppure più quello del 2022, col il suo corposo 15 per cento, è comunque
una scelta pericolosa. È anche vero che l'alternativa non è facilmente praticabile. Si tratterebbe infatti di seguire il metodo adottato a Firenze da Nardella nei confronti di Renzi: accettare la sfida a muso duro rifiutandosi di sottostare a diktat di sorta. Ma Nardella ha potuto farlo perché a Firenze il Pd conserva ancora forza, radicamento e struttura tali da poter almeno sperare di vincere comunque anche senza l'apporto del potere renziano. Non è un caso che si ripeta spesso e come commenta un esponente del Pd di lungo corso e vastissima esperienza: «Per mostrare i muscoli come fa Nardella bisogna averceli».
Il pericolo che una situazione del genere determina è elevato ma non imminente. La Basilicata è comunque una piazza non centralissima. Nelle Europee le previsioni sono rosee, che tradotto in percentuale significa 21- 22 per cento. La partita delle candidature non è facile: la minoranza si è organizzata ovunque per convogliare le preferenze sui propri candidati, alcune candidature eccellenti, come Bonaccini, restano in forse e nessuno sa davvero cosa il governatore dell'Emilia voglia fare anche se i bookmaker lo danno per candidato. Zingaretti dovrebbe alla fine correre ma reclamando la guida del gruppo a Strasburgo. La notizia della candidatura di Lucia Annunziata, per quanto fosse nell'aria, ha colto tutti, persino buona parte del gruppo dirigente, di sorpresa, tanto che ancora ieri non veniva data per confermata. Alle prese con la rivolta delle donne, la segretaria sarebbe orientata a candidarsi, sì, e in tutte le circoscrizioni ma come terza in lista e non come capolista. Una decisione che stempererà pure la protesta delle donne del Pd ma appare lo stesso difficilmente comprensibile.
Ma questi, pur essendo di tutto rispetto, sono problemi quasi di ordinaria amministrazione. Dove il quadro potrebbe invece diventare esplosivo è nelle Comunali di città come Bari e Firenze e soprattutto nelle regionali del 2025, perché una cosa è battersi per strappare all'avversario le regioni che governa, tutt'altro difendere le proprie e nel 2025 le regioni a guida Pd al voto a rischio sono ben quattro: Emilia, Toscana, Campania e Puglia.