Governare, tra le proteste di uno dei propri principali elettorati di riferimento. Proteste rumorosissime, oltretutto, perché i rivoltosi saranno a Sanremo, un palco televisivo che vale ogni sera, certo a seconda della serata, tra i 10 e i 15milioni di spettatori.

Non sarà sul velluto il rientro di Giorgia Meloni a Roma da Tokyo, dove era in visita anche per il passaggio di consegne per la guida del G7. Per carità, è tutto da vedere come andrà al festivalone nazionale il cui conduttore peraltro, già all’abbrivio della kermesse, si è dichiarato antifascista e s’è messo a cantare “Bella Ciao”.

Molto dipenderà da chi salirà sul palco in rappresentanza della rivolta dei trattori. Potrebbe finire in un messaggio capace di ricompattare la maggioranza di governo, nella quale anche attraverso l’ex ministro all’agricoltura Centinaio la Lega soffia sul fuoco: un messaggio del tipo “tutta colpa dell’Europa” farebbe comodo. Anche se Ursula von der Leyen, sulla scia di non pochi retromarcia europei già innestati per fronteggiare una rivolta che a Bruxelles come a Parigi e Madrid è stata sinora più incendiaria che non (ancora) a Roma, ha già annunciato l’ennesimo dietrofront: va ritirato lo stop che la Ue aveva messo all’eccesso di pesticidi nelle coltivazioni.

Ma difficilmente alla diretta televisiva dall’Ariston potrà esserci Coldiretti, la corporazione di riferimento e la vera costituency di Meloni: molti dei rivoltosi che son compatti negli intenti ma atomizzati in una miriade di raggruppamenti nati per la bisogna accusano Palazzo Chigi proprio di “prendere ordini” da Coldiretti. Di seguire gli interessi dei grandi coltivatori, della loro corporazione, delle lobby. Quando invece, oggi, molti rifiutano qualunque patronnage politico. E si sono dichiarate imbufalite col governo, che pure ora si prepara ad allargare i cordoni della borsa spostando sull’agricoltura circa 3 miliardi di fondi Pnrr, perché comunque nell’ultima legge di Bilancio è passato (rifiutando emendamenti delle opposizioni) lo stop agli sgravi Irpef per l’agricoltura.

Al ministro Giorgetti Palazzo Chigi e il ministro Lollobrigida han chiesto di correre ai ripari, ma anche se si tratta di trovare “solo” qualche centinaio di milioni di euro non è cosa semplicissima. L’incredibile rottura al momento in atto tra Meloni e un elettorato che le sembrava consustanziale è comunque meno incredibile del percorso attraverso il quale ci si è arrivati.

Cambiando denominazione all’Agricoltura in ministero della Sovranità alimentare le destre italiane avevano rovesciato in nazionalismo - e con qualche venatura ai limiti dell’autarchia - un concetto nato invece nel 1996 al vertice mondiale della Fao grazie alla Via Campesina che si ispira alle cooperative agricole di Danilo Dolci, e che indicava «il diritto dei popoli ad alimenti sani, prodotti con metodi sostenibili, e il diritto di definire il proprio sistema agricolo ed alimentare». Trascendendo - si aggiungeva - «la visione neoliberale di un mondo di merci: sovranità alimentare significa solidarietà, non concorrenza, e costruzione di un mondo piú giusto».

La gran parte degli agricoltori rivoltosi - in Italia come altrove - contesta in sostanza il produttivismo agricolo che consente alle grandi filiere di sostenere i prezzi sottopagando i prodotti della terra, e impoverendo i coltivatori. Sono ovviamente le piccole e medie fattorie a soffrire, col ribasso dei prezzi imposto dalle grandi filiere distributive. E dovendo fronteggiare le politiche europee: le quali, dopo decenni di generose sovvenzioni, hanno dovuto avviare anche per quel che riguarda l’agricoltura un Green deal. Una riconversione ecologica necessaria per contrastare i gas serra, come per tutti i comparti produttivi.

Bisogna pensare che da solo il settore agricolo produce, in gran parte per gli allevamenti, il 12 per cento dei gas serra dell’intera area Ue. Naturalmente, proprio gli agricoltori sono le prime vittime di alluvioni e siccità, le catastrofi causate dal cambiamento ambientale. Ma sembrano essere assai meno sensibili alla necessaria transizione, chiedendo alla Ue anche protezione dalla concorrenza estera. Con argomenti che, magari a differenza di quanto accade in altri settori, rischiano di avere pronta presa sui cittadini: protezionismo in materia di cibo significa anche proteggere il consumatore da alimenti prodotti in Paesi che non hanno la severità dei protocolli Ue.

I trattori che hanno bloccato a Strasburgo l’accesso alla plenaria del Parlamento europeo saranno assai simili a quelli che si ripromettono di assediare il Palazzo a Roma a partire dall’8 febbraio. Per ora, i cingolati provenienti da mezza Italia si sono accampati sulle vie consolari: per le modalità delle manifestazioni Roma si tratta con la questura.

Ma quando la nuova marcia su Roma si sarà concretizzata, quasi certamente ci sarà già stato il debutto sul palco di Sanremo. Il settore vale “solo” il 2,2 per cento del Pil italiano, ma molto di più per Meloni nell’urna delle prossime elezioni europee.