Ci sono temi, dal salario minimo al piano casa, dal sostegno ai giovani alle politiche sul lavoro, sui quali il Pd è compatto e marcia dietro la sua nuova segretaria. Ma ci sono altrettanti temi, dalle armi al sostegno agli attivisti di Ultima generazione, dall’ipotesi di patrimoniale alla maternità surrogata, sui quali il partito è letteralmente spaccato. E non in due, ma in tre o quattro anime diverse tra loro che si questioni di questo tipo non riesce proprio a dialogare.

Tenere insieme queste anime, che solo talvolta corrispondono alle correnti, sarà il compito principale di Ellu Schlein nei prossimi mesi, almeno fino alla prossima scadenza elettorale delle Europee.

Un compito arduo, un all- in che ha solo due risultati possibili: la riforma del partito, trascinandolo nel nuovo schema bipolare che vede contrapposto la nuova destra di Giorgia Meloni alla nuova sinistra di Schlein, o la scomparsa del partito stesso, mangiato a sinistra dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte e al centro dal terzo polo. Ma la segretaria ha vinto le primarie con l’auspicio di spalancare le finestre e far entrare aria nuova al Nazareno, e quantomeno ci proverà.

Certo le voci di chi è in disaccordo sui temi di cui sopra non mancano, appena qualche giorno fa una senatrice stimata nel partito come Valeria Valente ha richiamato la segretaria a un confronto aperto sulla maternità surrogata, confronto promesso da Schlein ma non ancora realizzatosi. E dopo la lettera dei riforesti dem Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini che chiedevano un cambio di passo «nel rivendicare i risultati ottenuti dal Pd» è arrivata quella delle donne del partito, da Valeria Fedeli ad Alessia Morani, da Titti Di Salvo ad Alessia Rotta, che rivendicano un partito «né di Conte né di Renzi ma pluralista e riformista» . E proprio Conte e Renzi sono tornati all’attacco nelle ultime ore, il primo smarcandosi dalla richiesta della segretaria dem di «campi ancora più larghi», arrivata dopo la sconfitta ai ballottaggi delle Amministrative, il secondo traendo direttamente le conclusioni dalle colonne del suo giornale, Il Riformista,

spiegando semplicemente che il centrosinistra o è riformista o non è. D’altronde Conte è leader di un partito di cui dopo il progressivo allontanamento di Beppe Grillo è ormai padre padrone politico e nel quale, da sempre, non sono ammesse defezioni. E porterà in piazza la sua opposizione al governo Meloni tra due settimane, quando chiederà conto della riforma del reddito di cittadinanza, farà sue le parole del governatore di Bankitalia Ignazio Visco sul salario minimo e insomma sfiderà Elly Schlein da sinistra.

Renzi e Calenda, invece, picconano la leader del Nazareno un giorno sì e l’altro pure. «Schlein funziona per vincere le primarie, ma - come sempre chi rappresenta la sinistra massimalista entusiasma la curva degli ultras e poi perde tutte le elezioni, anche quelle condominiali - ha detto ieri l’ex presidente del Consiglio al Giornale - Far saltare oggi la Schlein significa far saltare il Pd, è anche vero che mantenere la Schlein significa lasciare i riformisti a fare testimonianza in un partito dove non toccano palla». E per una volta uniti nell’obiettivo, Calenda ci ha messo il carico. «Che senso ha fare politica se quando il tuo avversario propone una cosa e tu, a prescindere, dici che è sbagliata anche se giusta, come ha fatto la sinistra sul taglio del cuneo fiscale? - ha spiegato il leader di Azione - Se la sinistra e Schlein fa questo rimarrà sempre più marginale perché gli italiani vogliono che vengano risolti i problemi».

In mezzo ci sono i famosi “riformisti” del Pd, cioè quella galassia che per ora rimane in attesa, salvo le rare fuoriuscite come le due lettere citate sopra, ma che prima o poi dovranno decidere il da farsi. «Schlein non ha colpe nella sconfitta delle amministrative però ha il dovere di agire: c’è la necessità di proposte concrete che parlino alla gente ha detto uno dei più ascoltati tra loro, Graziano Delrio - Il problema è che sembra non esserci ancora un metodo di lavoro che coinvolge tutti: io, per esempio, l’ho sentita pochissime volte, ma siamo a disposizione della segretaria per aiutarla».

Insomma quello che chiede una parte del Pd a Schlein, da Delrio a Valente, da Fedeli a Ceccanti, è il dialogo. Dall’altra parte del telefono, al momento, c’è la ( nuova) segreteria.