Per molti versi oggi, per la prima volta da quando è segretaria del Pd, Elly Schlein ha centrato il bersaglio e incamerato un vero risultato politico, una vittoria su tre fronti: nel rapporto con la maggioranza, in quello con i quasi-alleati ma anche rivali del M5S e all’interno del partito.

Di telefonate tra lei e la premier ce ne sono state due: una breve, alle 14, una più lunga e dettagliata, alle 15 e già questo era un successo della leader del Pd. Era stata lei, nell’intervista di due giorni fa al Corriere della Sera, a proporre un incontro in vista di un’iniziativa comune per la pace ed è stata sempre lei a chiamare palazzo Chigi. Ma ha trovato un’interlocutrice attenta e disponibile. Il risultato è stato la disponibilità del governo a chiedere varie riformulazioni delle cinque distinte mozioni dell'opposizione, una formula che ha permesso alla maggioranza di astenersi su uno dei punti chiave della mozione di cui Schlein era prima firmataria, decretandone così l’approvazione: la richiesta di un «cessate il fuoco umanitario» abbinata ma non indissolubimente collegata a quella della «liberazione incondizionata degli ostaggi».

È un punto chiave dal momento che nella mozione della maggioranza, ovviamente approvata senza alcuna fatica, si menzionava sì la formula dei due popoli-due Stati, come del resto in tutte le mozioni presentate, ma non si parlava di cessate il fuoco. Si può capire perché, all’uscita, in transatlentico, Schlein trasudasse e dichiarasse stavolta in piena onestà massima soddisfazione: «È un momento molto importante. Siamo molto felici». Altrettanto giubilante Peppe Provenzano, peraltro autore del testo andato ai voti: «Oggi il Pd ha riportato l’Italia dalla parte giusta, quella della pace in Medio Oriente».

Stavolta, sul fronte dela diplomazia, Elly Schlein esce dalla partita potendo accreditare al suo partito, e anzi alla mozione da lei personalmente firmata, l’impegno dell'Italia a favore della sospensione dei combattimenti e dei bombardamenti a Gaza. Non è poco, ma Elly segna il punto anche nei rapporti con i 5S, che avevano adottato una linea molto più strillata e aggressiva anche con l'obiettivo di togliere spazio al Pd in una base elettorale potenzialmente in bilico tra i due partiti ed estremamente sensibile alla tragedia di Gaza. Ma gli strilli non hanno sortito alcun risultato, il doppio binario di Schlein invece sì. La leader del Pd è stata nel suo intervento a Montecitorio, unica leader a prendere la parola, molto drastica e netta ma allo stesso tempo molto più diplomatica sia nel testo calibrato della mozione, sia nei rapporti con il governo.

Infine la segretaria segna il punto anche nel partito. La materia era incandescente: se il solo a uscire allo scoperto è stato nei giorni scorsi Piero Fassino, il più filoisraeliano di tutti, a condividere le sue posizioni e i suoi dubbi su una posizione troppo ostile nei confronti di Israele, e troppo appiattita sulle posizioni di Conte, sono invece in molti. Ma la leader criticata di solito per non ascoltare mai nessuno, stavolta ha invece lavorato di cesello, mettendo a punto una mozione salomonica ma non ambigua, davvero accettabile, con maggiore o minor trasporto, da tutti e prima di presentarla in aula, solo alla Camera e non al Senato dove la situazione del gruppo è più scivolosa, ha riunito tutti in assemblea per verificare e rendere esplicita la convergenza di tutti sulla sua mozione. Bersaglio centrato.

Ma perché Meloni ha concesso alla rivale diretta di cogliere un risultato brillante? In parte le avvisaglie di una sterzata del governo c’erano state già in mattinata, quando il ministro degli Esteri Tajani, alla radio, aveva detto senza mezzi termini che la reazione di Israele, nonostante il pieno diritto alla difesa, è «sbagliata» perché «sproporzionata sui civili». Tenendo conto che Fi è da sempre estremamente netta nel pieno appoggio a Israele nonché delle posizioni sin qui del governo era, se non un’inversione di tendenza, certo un cambio di marcia. Meloni, insomma, cercava una strada per allinearsi al resto dei Paesi occidentali, e in particolare agli Usa di Biden, senza esporsi direttamente. L'accordo raggiunto al telefono con la diretta rivale e poi confermato in aula lo ha permesso.

Hanno giocato probabilmente altre due considerazioni. La prima è che per il governo, per qualsiasi governo, un canale di comunicazione con l’opposizione è necessario e sin qui non si erano mai create le condizioni per gettare almeno una testa di ponte se non proprio per avviare il disgelo. La seconda è più prosaica: se potesse scegliersi lei l’avversario, Meloni opterebbe senza dubbio per la segretaria del Pd e non per il leader di 5S. Teme Conte più di Schlein perché sa che l’avvocato ha molto maggiore dimestichezza con la demagogia facile, dunque le contende il terreno, e ha alle spalle un’esperienza di premier che, non molto tempo fa, lo aveva reso popolarissimo. Del successo di Schlein un po’ è soddisfatta anche lei.