Una nota comune, stringata, concordata lunedì pomeriggio a pranzo, quando le notizie provenienti dalla Sardegna non lasciavano presagire nulla di buono. Verso l’ora di pranzo, i tre leader del centrodestra affidano alle chat dei giornalisti l’analisi ufficiale della sconfitta del loro candidato Paolo Truzzu, con la preoccupazione di non fare nessuna concessione politica al “campo largo” Pd-M5s.

«I dati disponibili sul voto in Sardegna – osservano Meloni, Salvini e Tajani - consegnano una vittoria per meno di 3mila voti alla candidata del centrosinistra Alessandra Todde sul candidato di centrodestra Paolo Truzzu. Siamo rammaricati per il fatto che l’ottimo risultato delle liste della coalizione di centrodestra, che sfiorano il 50% dei voti, non si sia tramutato anche in una vittoria per il candidato presidente. Da queste elezioni – proseguono - non emergerebbe in Sardegna un calo di consenso per il centrodestra. Ma rimane una sconfitta sulla quale ragioneremo insieme per valutare i possibili errori commessi. Continueremo a lavorare – conclude la nota - imparando dalle nostre sconfitte come dalle nostre vittorie». Qualche minuto più tardi, la presidente del Consiglio prosegue con la linea del fair play facendo sapere sui suoi social di avere telefonato alla neogovernatrice sarda Alessandra Todde per farle i complimenti.

All’ombra della diplomazia e delle parole di circostanza, però, è evidente che il day after della sconfitta nell’isola ha aumentato le tossine nei rapporti tra alleati, e la tensione è palpabile. Basta leggere in filigrana (nemmeno tanto) le dichiarazioni che si susseguono per tutta la giornata, per comprendere che Giorgia Meloni e i suoi più stretti collaboratori dovranno fare gli straordinari per evitare che la situazione deflagri, trasformandosi in aperto conflitto. «Se si lamenta anche Lupi – ironizzano le vecchie volpi di Transatlantico – la situazione è seria». Il leader di Noi Moderati, rappresentante della componente più piccola della coalizione, dispensatore quotidiano di comunicati all’acqua di rose, fa presente in mattinata che i centristi in Sardegna hanno preso il 5,4 per cento, scavalcando la Lega e diventando la terza forza isolana del centrodestra. Lupi chiede «una riflessione», aggiungendo che «non ha aiutato aver scelto un candidato tardi e dopo divisioni al nostro interno». Se ha qualcosa da dire lui, figuriamoci gli altri, soprattutto i leghisti che si sono visti imporre la defenestrazione del proprio candidato di riferimento col “metodo Meloni”, a beneficio di un pretoriano della premier.

E allora da una parte il leader leghista getta acqua sul fuoco, smentendo i retroscena su un suo presunto abbandono del Cdm per stizza politica e sottolineando di essersi chiarito con la premier, ma dall’altro arrivano segnali di quello che potrà essere nelle prossime settimane, in Parlamento e fuori. I colonnelli di Salvini, come era prevedibile, sono tornati a spingere forte sul terzo mandato: il presidente della commissione Difesa di Montecitorio, Nino Minardo, parla di «prepotenze e solipsismi che portano irrimediabilmente alla sconfitta», e chiede alla coalizione di «agire sul terzo mandato dei governatori per non privarsi di ottimi amministratori come Luca Zaia in Veneto», mentre il pasdaran Andrea Crippa (vice di Salvini) tiene banco in Transatlantico dicendo ai cronisti che lo circondano che «bisogna ascoltare i territori, considerare le capacità e non solo i rapporti di forza».

Poi c’è l’assessore regionale veneto Roberto Marcato che perde ogni inibizione: «Se qualcuno pensa di replicare il consenso di Meloni in Veneto ha capito male. Se il centrodestra sarà unito, bene. Sennò, bene lo stesso: andiamo alle urne con una lista Lega, una lista Zaia, una civica autonomista e con tutti quelli che ci stanno». Il pensiero corre subito al Senato, dove il dl elezioni sta per arrivare in aula, con la quasi certezza di un voto-bis sull’emendamento leghista già bocciato in commissione. Il ministro meloniano Luca Ciriani chiude ancora la porta e invita il Carroccio ad affrontare la discussione dopo le Europee. Sempre dall’inner circle della presidente del Consiglio, Giovanni Donzelli non entra in rotta di collisione con la Lega ma a chi gli chiede se vi sia stato il voto disgiunto risponde “è scientifico, matematico, bisogna vedere se è stata una cosa spontanea o dei partiti». Lo dice a margine di un tavolo di coalizione sulle prossime amministrative, piuttosto interlocutorio, che è servito però a tastare il polso di alcune situazioni, come quella di Forza Italia, che non nasconde di voler incassare il dividendo della buona performance sarda, chiedendo la conferma della candidatura in Basilicata dell’uscente Vito Bardi.

In questo quadro, per Meloni diventa imprevedibilmente delicata anche la tornata in Abruzzo tra dieci giorni, dove a giocarsi la rielezione ci sarà il fedelissimo Marco Marsilio contro un candidato sostenuto da tutte le opposizioni. Non ci potrà essere il voto disgiunto, e forse per questo Salvini, in tour nella regione centro-meridionale, prevede una vittoria «non di poco« del centrodestra, con la testa però già alle Europee. E a proposito di Abruzzo, una domanda agita ora il centrodestra per il rush finale della campagna elettorale: stavolta ci conviene rifare il megacomizio coi leader nazionali?