IL LEADER DEL CARROCCIO INVIA MESSAGGI AGLI ALLEATI: OK AL PRESIDENZIALISMO, MA SENZA AUTONOMIA DIFFERENZIATA SALTA TUTTO

Il leader ridimensiona le ambizioni nazionali e riparte dalle richieste dei suoi governatori. È la svolta di Pontida, il pratone su cui si decide la linea del futuro

Ritorno alle origini, ma ' tornando' al futuro. Con una sfida esterna al Pd, ma anche interna a Giorgia Meloni. La Lega, assediata dallo spettro del 10 per cento o persino di andare sotto, secondo alcuni sondaggi, reagisce indossando i panni della festa di Pontida. Sferra l'attacco sull'Autonomia, tema bandiera del Nord, figlio della minaccia bossiana di «secessione per avere la Devoluzione», ma inserito nella Costituzione. È l'autonomia differenziata, che «il Pd vuole far passare per secessione e di cui invece ha parlato anche il presidente Sergio Mattarella nell'insediamento», spiega il potente governatore del Veneto, Luca Zaia. Che dal palco ha attaccato: «L'Autonomia, per cui abbiamo vinto un referendum con risultato non bulgaro ma veneto non è mai approdata in Consiglio dei ministri». Matteo Salvini ha avvertito anche gli alleati interni: «Noi andiamo al governo non per avere potere ma per cambiare. Ci interessa il potere di cambiare». Quindi, letto tra le righe: va bene il presidenzialismo, ma, come è scritto nel programma comune, questo non esiste senza autonomia. E sempre letto molto tra le righe, a rischio di apparire una forzatura, il messaggio leghista che si leva dal pratone dei militanti e raccolto dal palco, portato all'estremo, può suonare anche così: attenta Giorgia e pure Silvio, noi possiamo anche staccare la spina in un eventuale futuro governo di centrodestra a trazione Fratelli d'Italia se non si sta ai patti. Del resto, Salvini avverte chiaramente: «Con Giorgia e Silvio siamo d'accordo su quasi tutto, ma gli alleati rispettino l'intero programma comune». Umberto Bossi, che ieri ha compiuto 81 anni, non era a Pontida, ma il suo nome citato per una decina di volte, ha aleggiato a lungo sul pratone. Come il segno di una Lega che, indipendentemente dai numeri che aveva e che avrà, non ha mai fatto né intende fare l'alleato docile e malleabile. La stoccata di un esponente storico come Roberto Calderoli suona particolarmente rivolta a FdI: «Noi siamo il partito della scuola degli amministratori, quelli che hanno sempre governato e non solo detto dei no e protestato ( riferimento al vecchio slogan: Lega di lotta e di governo ndr), recuperemo presto lo svantaggio in consensi dovuto al fatto di aver avuto la responsabilità di governare in un momento difficile, nelle nostre scuderie abbiamo puledri non ronzini».

Evidente che è stata la giornata dell'orgoglio leghista, ultima domenica prima del voto, e i toni si accendono nel rush finale della campagna elettorale. Ma nella storia della Lega Nord di Bossi e poi della Lega nazionale di Salvini Pontida ha sempre rappresentato l'agenda, la linea di rotta della Lega del futuro. Interrogativi nodali però si aprono. Salvini ha abbandonato il progetto di Lega nazionale? In Lega ti rispondono che non è affatto così. Anche il Sud è presente a Pontida, seppur in tono minore. E lo stesso Salvini si presenta come capolista anche in Calabria e Basilicata. Così come in Sicilia, già presente nella giunta regionale, la Lega appoggia Renato Schifani ( Fi) come presidente alle Regionali contemporanee alle Politiche il 25 settembre.

Ma nei passaggi più difficili e delicati il movimento- partito rinserra le file e riparte dalla casa madre. La leadership di Salvini sarà rimessa in discussione di fronte a un risultato deludente? Di fronte alle proteste, che si colgono anche negli umori silenziosi dei militanti soprattutto del Sud, o alle critiche venutegli anche dal Nord di averlo trascurato? Il gotha leghista rinserra le file anche sulla leadership di Salvini. Da Giancarlo Giorgetti a Luca Zaia, ai capigruppo Riccardo Molinari, Massimiliano Romeo, i vicesegretari Andrea Crippa e Lorenzo Fontana: «Basta con questa storia che siamo divisi tra buoni e cattivi. Matteo è e sarà il nostro leader». Chiusura a riccio. Bagno di folla, manifestazioni di affetto sul pratone per Salvini, che resta il più applaudito. Lo schema del partito, ovviamente non i contenuti, sembra restare ' leninista'. Salvini, in Lega dal 1990, «è l'uomo che ci ha salvati dal precipizio del 3 e qualcosa per cento», ti dicono sul pratone. In Lega, da quella della minaccia di secessione fino alla prima Lega nazionale della minaccia no- euro, le correnti non sono state mai formalmente ammesse. E comunque le aree ci sono, così come sfumature e differenze, il dibattito interno resta. Ma toccare il leader è rimasto come una sorta di tabù. È un fatto che finora ci è voluto solo lo ' scandalo' Belsito per cambiare la leadership che però non fu rimessa in discussione neppure nel 2004 quando Bossi ebbe la prima grave malattia. Salvini fu eletto con le primarie nel 2013 proprio contro colui che resta il presidente vita della Lega nord. E Salvini ha ricandidato, a sua volta, il ' maestro' per la Camera. Quadro idilliaco? No, si apre una fase complessa per quello che Roberto Maroni, secondo segretario federale del Carroccio, definì «l'ultimo partito leninista», ma la Lega è un animale camaleontico.