Mentre nella Capitale pentastellata gli autobus prendono fuoco, ben altre fiammelle tornano ad alimentare il forno di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Dopo l’appello di Sergio Mattarella, i due leader hanno ripreso a sentirsi per tentare l’ultima trattativa prima del ritorno alle urne. L’accelerazione improvvisa è arrivata ieri mattina, quando tra i parlamentari grillini comincia a circolare sempre più insistente la voce di un «nuovo avvicinamento», concreto, con i leghisti. Tutti temono il ritorno alle urne, anche chi ostenta sicurezza, convinto che al prossimo giro si giocherà una sorta di “bella” tra Carroccio e Movimento, i due partiti destinati a prosciugare i bacini elettorali di Forza Italia e Pd. E tutti temono di non riuscire a tenere compatti i gruppi parlamentari davanti all’incognita del voto anticipato. Meglio fare un altro tentativo di intesa.

La conferma del ritrovato dialogo arriva poco prima di pranzo, quando Giancarlo Giorgetti, capogruppo alla Camera della Lega, pronuncia queste parole: «Se Berlusconi sostenesse un governo del presidente sarebbe la fine dell’alleanza tra Lega e Forza Italia. A Silvio chiediamo un gesto di responsabilità, favorendo la nascita di un governo politico con il M5S». I salviniani, in altre parole, chiedono all’alleato di fare un passo indietro ( appoggio esterno a un governo giallo- verde) o un passo in avanti ( sostegno all’esecutivo “presidenziale”) per consentire le nozze con i grillini. I berlusconiani respingono al mittente la proposta, ma tra i parlamentari 5 Stelle è forte il sospetto che si tratti di una sceneggiata. «Se riusciremo a fare un governo con la Lega, significa che Forza Italia è d’accordo», è la confidenza di una deputata pentastellata. «Significa che ci sarà una finta rottura dell’alleanza di centrodestra, in realtà concordata, e Salvini si farà garante degli interessi di Berlusconi in una maggioranza senza i forzisti».

La fase però è troppo evanescente per avere un quadro chiaro della situazione. I pochi parlamentari che si sbilanciano non si spingono oltre il periodo ipotetico della realtà. Troppe volte, in questi due mesi di tira e molla, Di Maio e Salvini sono sembrati a un passo dal matrimonio politico. E troppe volte tra i due “promessi sposi” è intervenuto qualcuno o qualcosa a impedirne le nozze. «L’auspicio è che il dialogo con il M5S si possa riaprire, perchè abbiamo sempre proposto un governo politico e non tecnico, l’idea di poterci confrontare su un governo politico è sempre aperta», insiste il capogruppo al Senato della Lega Gian Marco Centinaio.

Corteggiamenti a parte, però, i due schieramenti diffidano l’uno dell’altro. «Dopo 65 giorni ho smesso di sperare che ci possa essere una svolta», dice in serata Di Maio a di Martedì. «Se ci dovessero essere delle novità ( i leghisti, ndr) devono andare dal Presidente della Repubblica a spiegargli per filo e per segno di che novità si tratta», spiega. «Se c’è una persona di cui stiamo minando la pazienza è il Presidente della Repubblica, che è stato fin troppo paziente». Già, perché mentre il leader M5S definisce il suo rapporto con Salvini come uno status di Facebook ( «una relazione complicata» ), Mattarella pensa ai nomi da proporre per un governo di “servizio”, in grado di sbrigare gli affari correnti. «Un governo non può essere mai neutrale. E questo non per criticare le decisioni del Presidente, ma perchè si dovranno affrontare delle scelte», insiste il capo politico.

E se alla fine non si trovasse un’intesa, non resterebbe che tornare alle urne in piena estate. I piani pentastellati, in questo caso, sono già chiari: condurre una campagna elettorale all’attacco per erodere ulteriormente i consensi del Partito democratico. «Noi possiamo recuperare, da quello che ho visto dagli analisti, oltre l’ 8 per cento dal Pd e dalle forze politiche che non si ripresenteranno perchè andate sotto soglia. Finalmente potremo avere l’occasione per governare autono- mamente», argomenta convinto l’ex aspirante premier, convinto che molti elettori dem molti abbandoneranno il partito scelto alle ultime elezioni. «Perchè è un partito che si era riempito la bocca con la responsabilità di dare un governo a questo Paese e quando sono arrivati al dunque si sono rifugiati sull’Aventino perchè Berlusconi non aveva i numeri per fare un governo insieme a loro», dice. «A che serve votare Pd se all’opposizione non può stare - visto che non ha la credibilità per combattere contro quelli che affrontano il tema delle pensioni - e non vuole stare al governo...» . Il rischio però è chei cittadini non abbiano alcuna voglia di sorbirsi un’altra campagna elettorale nel giro di pochi mesi, tornando a fine luglio al seggio, per giunta con lo stesso Rosatellum che ha generato questa situazione.

Chi di certo preferirebbe scongiurare questa eventualità sono gran parte degli eletti 5Stelle, terrorizzati all’idea di perdere lo scranno. Una paura che i vertici pentastellati comprendono bene e ed evitano di alimentare. Forse anche per questo a nessun parlamentare sono stati consegnati i famigerati moduli per le rendicontazioni, nonostante i primi stipendi siano già stati accreditati. Chiedere ulteriori sacrifici al gruppo in questo momento sarebbe un azzardo pericoloso. Che Di Maio e Casaleggio non possono permettersi.