Meloni non apre ma non chiude. Prende tempo. Disserta per mezz’ora, ascolta diligentemente i leader dell’opposizione che parlano in ordine alfabetico e difendono tutti la proposta del salario minimo a 9 euro lordi l’ora, respingendo le critiche mosse dalla premier, le stesse già note. Per una soluzione positiva non c’è spazio ma per Meloni l’essenziale è che non finisca neppure in rottura conclamata. Dunque si tiene in equilibrio, sottolinea quanto complessa sia la faccenda propone un «percorso celere ma attento» sul lavoro povero. É una chiusura nella sostanza ma non nella forma, che in queste faccende non è secondaria. L’obiettivo è tenere tutto ancora aperto sino a settembre: comunque vada a finire basterà per restituire l’immagine di un governo che alla sorte dei lavoratori poveri ci tiene e che al sociale riserva la massima attenzione.

Più che una delegazione quello dell’opposizione è un corteo. A palazzo Chigi, tra leader ed esperti di ciascun partito alle 17 arrivano in venti. Dall’altra parte del tavolo la massa è più contenuta come numero ma non quanto a galloni. La premier e due vicepremier, Salvini e Tajani, la ministra competente, quella del Lavoro Calderone, i due potentissimi sottosegretari alla presidenza, Fazzolari e Manotovano. L’incontro agostano tra governo e controparte (con la sola eccezione dei renziani) parte in salita, e non poteva essere diversamente, ma parte anche gravato da un’incognita decisiva: cosa vogliono le due parti in causa, qual è il loro interesse politico?

Deriva da questo interrogativo inevaso l’incertezza sull’agenda. L’argomento all’odg è il salario minimo e già così la missione è quasi impossibile. Il Pd però mira a parlare di tutto: in particolare della richiesta di dimissioni di Marcello De Angelis e cosa c’entri con il salario solo la segretaria Schlein lo sa. Conte è un po’ più attento al fuori tema, ma sempre muovendosi a vasto raggio. La tassa sugli extraprofitti sulle banche è giusta ma non è l’unico comparto che abbia macinato incassi da capogiro grazie alle crisi che si sono succedute negli ultimi 3 anni. Andrebbero almeno colpiti anche i fabbricanti d’armi. Il verde Bonelli non capisce bene perché proprio i suoi temi, impellenti come oggettivamente sono, debbano restare fuori dal pacchetto: si discuta anche di emergenza ambientale e delle sorde resistenze del governo a fare quel che va fatto sul fronte della transizione ecologica.

Nessuno dei presenti, neppure Elly la neofita, è tanto ingenuo e inesperto da non sapere che allargare il campo significa rendere ancora più difficile trovare una quadra che già somiglia molto alla chimera. Ma Pd, 5S e Avs non sono precisamente convinti, per usare un eufemismo, che raggiungere un compromesso sia conveniente. L’opposizione ha morso a vuoto per mesi. Sul salario minimo, per la prima volta, ha addentato davvero i rivali. La raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare offre un’occasione d’oro per una propaganda battente e minuziosa che tornerà molto utile anche per europee. Inoltre quella raccolta di firme organizzata anche con Calenda, con Elly e Conte per una volta davvero fianco a fianco, è il bacino di coltura del solito campo largo. Vale la pena di sacrificare la preziosa occasione, oltretutto regalando a Meloni una ciambella di salvataggio che le permetterà di rivendere il suo governo come impegnatissimo anche sul fronte sociale?

Il governo, a prima vista, avrebbe tutto l’interesse a chiudere con successo l’incontro. In parte è così ma solo a patto che l’accordo non suonasse come vittoria dell’opposizione. É una pretesa anche comprensibile ma irricevibile per l’opposizione che dovrebbe in questa non equanime visione salvare la faccia al governo senza poter incassare niente in termini d'immagine. Senza contare la tentazione della premier, in realtà fortissima, di chiudere la vicenda in autunno con una legge sulla contrattazione collettiva e poi sbandierare il risultato accusando la controparte di aver cercato di sabotarlo a solo scopo di propaganda.

Il macigno sul tavolo di palazzo Chigi, ieri, era questo e si tratta di un ostacolo essenzialmente politico, non tecnico. La stessa posizione “ragionevole” di Calenda, il leader di Azione che ha costruito l’incontro e il solo a cercare atrtivamente un compromesso, non è priva di interesse politico: Calenda deve dimostrare che il suo “centrismo” ha una sua ragion d’essere e un’utilità per il Paese. Non può che essere il ruolo di chi smussa, media, propone soluzioni accettabili dagli uni e dagli altri. Ma nessuno ha neppure interesse nell’apparire come chi ha voluto e provocato la rottura. Dunque il match finisce come era prevedibile e come sintetizza uno degli invitati dell’opposizione: «Tutti sulle loro posizioni e palla al centro».