E' capitato spesso che elezioni amministrative, regionali e in un caso persino europee riverberassero sugli equilibri politici dei vari partiti con la potenza di un terremoto e storicamente chi si è trovato più di frequente al centro di tempeste scatenate da un voto "locale" è quello che oggi si chiama Pd, ieri Ds e prima ancora Pds. Nel 2000 Massimo D'Alema perse palazzo Chigi e la leadership degli allora Ds per una tornata di elezioni regionali che contava di vincere facile e si risolsero in una disfatta.

Nove anni dopo il primo segretario del neonato Pd, dopo aver retto a una sconfitta elettorale prevedibile ma non prevista nelle elezioni politiche anticipate del 2008, non resse l'urto delle regionali perse in Sardegna. Ma la lista è più lunga. Proprio come Veltroni, il segretario della svolta, Achille Occhetto, ultimo leader del Pci e fondatore del Pds, si tenne fortunosamente in sella dopo essere stato battuto da Berlusconi nelle prime elezioni della seconda Repubblica, marzo 1994, ma solo per essere disarcionato pochi mesi dopo, in seguito alla rotta nelle elezioni europee. Per Matteo Renzi fu fatale l'affossamento referendario della sua riforma costituzionale, alla fine del 2016. Ma in realtà la china che portò a quel risultato era stata imboccata proprio con la sconfitta nelle elezioni comunali di qualche mese prima, quelle in cui il suo Pd fu battuto in piazze fondamentali come Roma e Torino.

È capitato. Capita di nuovo. Anche nelle prossime elezioni il leader del Pd, Enrico Letta, si gioca il posto e il futuro politico nella piazza di Roma, capitale e principale città d'Italia. Ma stavolta in gioco c'è più che non una segreteria, posta già di per sé non trascurabile. Stavolta è la stessa linea strategica del Pd che potrebbe uscire smantellata dalla prova elettorale. Al termine di una parabola tra le più assurde, con le candidature principali vacanti sino all'ultimo secondo, l'ex ministro dell'Economia Roberto Gualtieri non ha la certezza di arrivare al ballottaggio. È vero che tutti i pronostici lo danno per certo vincitore nel caso di sfida diretta al secondo turno contro il debolissimo candidato della destra Enrico Michetti. Ma è sensazione diffusa, anzi unanime, che il varco del primo turno sia quanto meno in forse.

Tre candidati sarebbero infatti più o meno affiancati, puntarello in più o in meno, nei sondaggi. Lo stesso Gualtieri, la sindaca uscente Virginia Raggi, la cui popolarità è certamente molto calata dopo il non certo brillante quinquennio al Campidoglio ma forse meno di quanto non ci si aspettasse, e l'outsider Carlo Calenda le cui quotazioni starebbero salendo nelle ultime settimane. Una porzione dell'elettorato di destra è poco convinta da Michetti, comunque lo dà per sconfitto e si starebbe orientando verso Calenda, forte anche dell'endorsement del numero due della Lega Giorgetti. Calenda lo sa e per questo gioca una carta molto popolare tra l'elettorato del centrodestra: promette di affidare l'incarico di vicesindaco all'ex capo della Protezione civile Bertolaso.

Se Calenda o Raggi dovessero arrivare al secondo turno al posto del candidato del Pd per il Nazareno sarebbe esiziale. Conquistare Roma non è per Letta questione di vita o di morte. Arrivare al ballottaggio invece sì: l'umiliazione, in caso contrario, sarebbe per il partito di letta insopportabile. Ma se sia Gualtieri che Calenda dovessero ritrovarsi l'uno contro l'altro nella sfida finale, come alcuni ritengono possibile data propria l'estrema debolezza di Michetti, la situazione potrebbe essere anche peggiore. Il voto dell'elettorato di destra premierebbe infatti Calenda e una sconfitta nella ' conta a sinistra' sarebbe forse anche più devastane del mancato arrivo al ballottaggio.

In ogni caso, un esito infausto chiamerebbe in causa non solo la posizione del segretario ma l'intera strategia basata sull'accordo con i 5S. Se a prevalere fosse la sindaca uscente i rapporti tra i Pd e Movimento ne uscirebbero seriamente ammaccati, servirebbe un ' chiarimento' drastico e immediato. Ma se a superare l'ex ministro dell'Economia fosse l'ex ministro alla Sviluppo Calenda, la cui linea è proprio il rifiuto dell'accordo Pd- 5S nessun chiarimento basterebbe a evitare una crisi profondissima.

Letta, insomma, rischierebbe molto anche senza Siena. Però ha scelto invece di correre per quel seggio vacante, in un collegio non sicuro, in una provincia dove la destra sta facendosi strada e dove è forte la presenza renziana. La sconfitta gli sarebbe fatale comunque: scelta coraggiosa quanto pericolosa.