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eri mattina, mentre qualche giornale annunciava la disponibilità di Giuseppe Conte a tornare indietro sul suo progetto di governance del Recovery Plan italiano, dopo la sfida di Renzi, una dichiarazione anonima delle classiche “fonti di Palazzo Chigi” smentiva segnalando che il presidente del Consiglio non si è mai detto pronto a trattare, né sul Piano né sul rimpasto. Se si aggiunge che giovedì sera, subito dopo l'attacco a testa bassa di Renzi in Aula, lo stesso Palazzo Chigi negava che fosse già stato deciso in via definitiva di soprassedere sull'ipotesi iniziale di inserire il Piano nella legge di Bilancio con un emendamento, mossa che segnerebbe la crisi finale con Renzi, si evince chiaramente che il premier non ha ancora deciso come muoversi.

È probabile che alla fine si convincerà a rivedere la ripartizione dei fondi, perché la protesta contro l'esiguità della cifra destinata alla sanità, appena 9 mld, è corale e non potrebbe in alcun caso essere sdegnosamente respinta ai mittenti. Ma sulla struttura di comando, fatti salvi alcuni ritocchi più formali che sostanziali, Conte è deciso a non cedere, proprio come Renzi il quale, consapevole di avere dalla sua parte buona parte della maggioranza, non può a questo punto più tornare indietro. Quando due auto sono lanciate l'una contro l'altra, la possibilità che nessuna delle due sterzi all'ultimo momento è concreta. Il rischio di crisi è reale.

In realtà la carta vincente sulla quale entrambi i contendenti contano è la stessa, sia pur declinata in modo opposto, ed è questo forse l'aspetto più bizzarro dell'intera faccenda. La forza di Conte è sempre stata la sua insostituibilità, l'assenza di alternative. In un quadro nel quale la cosa più temuta da tutti sono le elezioni, blindare l'inquilino di Palazzo Chigi, poco importa se per amore o per forza, è la sola garanzia di evitare lo scioglimento della legislatura. Mattarella lo sa e per questo ha chiarito in tutti i modi, facendo filtrare la voce ma anche parlando direttamente con i leader della maggioranza, che una crisi significherebbe quasi certamente il temuto scioglimento delle Camere.

È una minaccia credibile? Con molti limiti. Sulla carta lo scioglimento è possibile sino al 3 agosto ma i tempi sono ristrettissimi. Una nuova legge elettorale non c'è e per votare con quella esistente è necessario ridisegnare tutti i collegi. Significherebbe arrivare alle urne in primavera inoltrata, proprio quando tutti gli sforzi dovrebbero essere concentrati sulla ripresa. Nella situazione data, inoltre, non è affatto certo che si possano aprire le urne e convocare i comizi elettorali senza rischiare un'ondata di Covid

CONTINUA IL BRACCIO DI FERRO TRA ITALIA VIVA E PALAZZO CHIGI

Il premier punta sulla “minaccia elezioni” per sedare il dissenso, ma per Matteo è solo un bluff

più devastante di tutte le precedenti.

Le elezioni, inoltre, non sarebbero comunque una garanzia. Non è affatto sicuro che dalle urne uscirebbe una maggioranza certa e se una crisi al buio è pericolosa, elezioni al buio - di quelle che costringono a riaprire i seggi dopo pochi mesi - sono ancor più minacciose. Non è un'ipotesi apocalittica in sé. È successo in diversi Paesi anche europei negli ultimi anni, ma non nel cuore di una crisi economica di portata inaudita, forse con un'emergenza sanitaria ancora in corso, di certo con una difficile campagna di vaccinazione di massa già avviata. Molti, e Renzi tra questi, sono convinti che la minaccia di Mattarella sia un bluff e che, di fronte al fatto compiuto il capo dello Stato sperimenterebbe ogni via per evitare di mandare a casa il Parlamento. Proprio ciò di cui ha bisogno Renzi. Sulla carta infatti il leader di Iv ha più ragioni di sicurezza di quante non ne abbia il premier. Troppi ottimi argomenti militano infatti contro un ricorso facile al voto anticipato e ciò spiega la relativa tranquillità con cui il Pd e Di Maio, che condividono sia le critiche che l'irritazione di Renzi contro il premier ma che certo non vogliono la fine della legislatura, evitano di alzare troppo la voce e sperano anzi di usare il ragazzo di Rignano come testa d'ariete. Ma in un momento come questo nessuno può scommettere a colpo sicuro su cosa succederà. Per quanto improbabili le elezioni come esito di una eventuale crisi non sono però impossibili. Nessuno le vuole, ma si sa che le elezioni, speso, ' capitano' senza che nessuno intendesse arrivarci all'inizio del percorso.