Gianluigi Paragone le prova tutte per farsi buttare fuori dal Movimento 5 Stelle. Dopo non aver votato la fiducia al governo e sparato a raffica sulla leadership di Di Maio, ora l’ex direttore della Padania gioca il jolly: sbugiardare, nome per nome, tutti i compagni di partito in ritardo con le restituzioni.

«Acunzo, Aprile, Cappellani, Del Grosso, Dieni, Fioramonti, che lo hanno anche fatto ministro, Frate, Galizia, Marta Grande, che è presidente di Commissione, Lapia, Romano, Vacca, Vallascas...». È solo l’inizio dell’appello dei parlamentari “non paganti” recitato da Paragone nel corso di una diretta Facebook. «Tutta gente ferma a quota zero, non hanno rendicontato nulla, non hanno restituito nulla», sottolinea il senatore con un piede fuori dal partito. Tra i “cattivi” «c’è anche Dalila Nesci, che si voleva candidare in Calabria, con solo due mensilità». Poi l’ex conduttore televisivo circoscrive il tiro ai piani alti del Movimento, mettendo nel mirino presidenti di Commissioni importanti e ministri. «Carla Ruocco è presidente della commissione Finanze e vuole andare a fare la presidente della commissione di inchiesta sulle Banche», affonda. «È ferma soltanto a tre mensilità. Allora, non puoi sorvegliare sui conti degli altri e non essere in regola con qualcosa di identitario rispetto al Movimento». E lo stesso discorso vale «per il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, ferma a due mesi», insiste Paragone, che poi dedica una parentesi a un’altra ministra: Fabiana Dadone. La titolare della Pubblica amministrazione attira le “attenzioni” dell’ex direttore della Padania non solo per il suo ruolo istituzionale ma anche in quanto componente del collegio dei probiviri che a breve dovrà pronunciarsi proprio sul “caso Paragone”. «È un probiviro che dovrà giudicare me ed è un po’ in conflitto di interessi. Secondo me è un po’ incompatibile. Non puoi essere nel collegio dei probiviri ed essere anche ministro, ma vabé, quisquilie», è la premessa. «Dadone è ferma a 5 mensilità. Te ne mancano un bel po’ figlia mia...», ironizza Paragone che annuncia, come senatore che ha pagato tutto, un esposto al collegio di cui la ministra fa parte per chiedere la sua espulsione.

L’elenco dei “furbetti” prosegue con i nomi di «Giarrusso, Ciampolillo, Anastasi» e altri ancora. Ma il senatore ribelle, per dovere di cronaca, stila anche la lista dei “buoni”, i virtuosi della rendicontazione, tra cui spiccano: «Azzolina, Bruno, D’uva, Sibilia, Di Stefano, Patuanelli», oltre allo stesso Paragone.

Il fuoco amico, ovviamente, non va affatto giù a molti colleghi di partito. La deputata Federica Dieni, chiamata in ballo dal ribelle vicino a Di Battista, replica con un post al vetriolo su Facebook. «Vorrei che tutti gli infiltrati uscissero dal Movimento, a partire da chi dopo aver oggettivamente violato la regola con cui si è candidato votando contro la fiducia al governo, la butta in caciara cercando di tirare in mezzo gli altri», scrive Dieni, definendo l’ex direttore della Padania un infiltrato della Lega. Sulla stessa linea anche l’onorevole Fabio Berardini. «Cosa aspetta il Movimento ad espellere Paragone? Uno che solo grazie al Movimento è stato catapultato in Parlamento ed ora continua a sputare nel piatto dove ha mangiato e dove sta continuando a mangiare», scrive anche lui sui social. «Uno che parla di rendicontazioni attaccando strumentalmente i colleghi senza alcuna ragione. O forse la ragione c’è. Chissà. Magari voleva essere lui il Presidente della Commissione Banche». Insomma, la guerra fratricida grillina procede a colpi di post su Facebook. Ma non solo. Qualcuno trova il coraggio di spiegare le ragioni del proprio ritardo nei pagamenti dietro garanzia di anonimato. «Perché dovrei dare i miei soldi a Rousseau?», dice un’eletta. «Un conto è fare beneficenza e un altro è regalare il mio stipendio a quell’associazione», aggiunge, riferendosi all’articolo 16 dell'atto costitutivo del “Comitato per le rendicontazioni e i rimborsi del Movimento 5 Stelle”. È un organo, presieduto da Di Maio, creato apposta per organizzare e gestire le restituzioni dei parlamentari. Durata in carica: fino allo scioglimento delle Camere. Ma «se allo scioglimento del comitato dovessero restare fondi a disposizione, questi verranno devoluti all'Associazione Rousseau», recita il famigerato articolo 16. In altre parole, se domani il governo cadesse, «i miei soldi ancora non destinati andrebbero nelle casse dell’associazione presieduta da Casaleggio», prosegue la fonte grillina. «A questo punto me li tengo per me».