Adesso basta: si vota. Domenica si aprono le urne e in nottata sapremo chi ha vinto il referendum e quale piega prenderà la politica italiana. Si decide se modificare o no la Costituzione in una sua parte fondamentale: l'addio al bicameralismo perfetto; superando così l'articolazione istituzionale (e gli annessi bilanciamenti di potere) definiti nella Costituzione approvata il 22 dicembre 1947 e promulgata cinque giorni dopo. Un cambiamento per il quale è giusto spendere il troppo abusato aggettivo "epocale", e che avrebbe giustificato un confronto forte e approfondito - anche con toni inevitabilmente accesi vista l'importanza dei temi trattati - tra i cittadini, i loro rappresentanti, le organizzazioni della società civile. Quasi niente di tutto questo è avvenuto. La campagna elettorale è stata a dir poco deludente; il merito della riforma è stato messo in disparte; i toni sono diventati quasi subito parossistici e ben presto tracimati nell'insulto.Non c'è da essere orgogliosi. Ma è inutile ammantarsi di retorica e chiudere gli occhi sulla realtà. Dal via libera dei Padri Costituenti sono passati settant'anni: il mondo non è più lo stesso. Nelle urne referendarie c'è molto di più che la revisione dei compiti, delle prerogative e della composizione tra Camera e Senato. L'interrogativo angoscioso che deve trovare risposta è se l'Italia - se anchel'Italia - va iscritta nel novero dei Paesi squassati dal vento della rabbia e della protesta contro chi comanda, indipendentemente dal colore politico delle casacche che indossano e dello schieramento cui appartengono. Capire cioè se ci sarà un'Italexit che però non riguarderebbe un'improbabile uscita dalla Ue, peraltro allo stato ridotta a poco più di una larva politica, quanto la fuoriuscita dall'alveo in cui è cresciuta e si è svolta per decenni la dinamica tra eletti ed elettori; il confronto tra classi dirigenti, ceto medio e parti sociali; tra il Palazzo e ciò che sta fuori; tra establishment e popolo. Un rivolgimento che cambia i connotati, la riconoscibilità e le chiavi di lettura dei fenomeni delle società occidentali.E' ciò che è accaduto in Gran Bretagna con la fuoriuscita dall'Europa e negli Stati Uniti l'elezione di Trump. Nel primo caso è stato cacciato un leader Conservatore; nell'altro un Democratico. E' la faglia che, tra pochi mesi, potrebbe coinvolgere Parigi se alle elezioni presidenziali dovesse prevalere Marine Le Pen o Berlino se la Cancelleria Merkel non centrasse il quarto mandato. Roma sta in mezzo, e forse può addirittura diventare l'ago della bilancia di un cambiamento profondissimo.Al di là e al di sopra della consultazione popolare, nel Sì e nel No ci sono questi contenuti. C'è lo scontro tra populisti (anche se è una etichetta il cui significato è multiforme) e "integrati". Da un lato c'è Matteo Renzi che prima ha riunito sotto le sue insegne rottamatrici e poi fortificato con la riforma costituzionale ed elettorale il perimetro del potere e la cittadella della rappresentanza politica tradizionale, seppur grandemente rivisitata. Dall'altra c'è la spinta, rappresentata da Grillo e Salvini che non a caso non incarnano praticamente in nulla le correnti politiche ed ideali che hanno ispirato la scrittura della Carta, che si spendono per l'azzeramento di quella cittadella: nel caso dell'ex comico, con in più la voglia di palingenesi che può derivare unicamente dall'annientamento delle strutture pre-esistenti alla democrazia via Web. Puntando a sfruttare - sia l'uno che l'altro leader - la disaffezione, la delusione e la sfiducia che tiene lontani dalle urne circa metà dei cittadini. In mezzo c'è Silvio Berlusconi, a cui quel vento che arriva da Oltremanica e Oltreoceno sa di burrasca e perciò ne diffida, ma non intende rinunciare a cavalcare.Che, qualunque sia l'esito del voto, tutto è destinato a restare com'è, è una pietosa illusione. Se vince il No, quel tipo di spinta prevarrà e le conseguenze sono destinate a pesare dentro e fuori i confini nazionali. Se vince il Sì, il premier sarà tentato di sfruttare l'onda positiva magari dimettendosi comunque (nonostante le sementite di rito) per avviare, riforma elettorale compresa, la procedura che porta alle urne entro pochissime settimane. Una sorta di uno-due che dovrebbe annichilire avversari annidati dentro e fuori il Parlamento, e oppositori interni nel Pd. Con in realtà un obiettivo assai più ambizioso. Essendoci eretto bastione vittorioso contro l'ondata demagogica e anti-sistema, l'ex sindaco di Firenze punterebbe ad una leadership di caratura internazionale, visto che si ritroverebbe, unico in Europa, alla guida di un partito di sinistra con le stimmate del vincente.Quale delle due strade è meglio imboccare lo possono e devono decidere gli elettori. L'ultima parola tocca a loro, dopo una campagna elettorale patologicamente lunga e deprimente. Ed è giusto così.