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D'Alema
Il “Rieccolo” di questa seconda o terza Repubblica, come preferite, emulo del Fanfani della prima di conio montanelliano, è il Dalemoni scoperto e raccontato da Giampaolo Pansa verso la fine degli anni Novanta sull’Espresso: metà Massimo D’Alema e metà Silvio Berlusconi. Di cui fu pure realizzato un fotomontaggio per tradurre meglio le convergenze parallele dei due, alla maniera di quelle che prepararono ai tempi di Aldo Moro alla segreteria della Dc l’alleanza di governo con i socialisti di Pietro Nenni. All’indomani dell’annuncio o minaccia di Berlusconi di fare uscire la sua Forza Italia dal governo se Mario Draghi ne lasciasse la guida per salire al Quirinale, che cosa fa D’Alema? Si lascia intervistare dal manifesto, con la snobistica minuscola della storica testata comunista, per dire in sintonia appunto col Cavaliere: «Mi pare difficile mantenere una maggioranza larga senza Draghi. Non è un compito facile arrivare al 2023 se il premier viene eletto al Quirinale». Ma lo stesso D’Alema non aveva detto, in un brindisi di Capodanno con i compagni di partito finito su internet, anche a costo di mettere in imbarazzo il povero ministro della Sanità Roberto Speranza, peste e corna politiche di Draghi, uomo della finanza internazionale poco o per niente conciliabile con la democrazia, cui la sinistra si sarebbe troppo facilmente rassegnata ad affidarsi? Sì, lo aveva detto. E in parte lo ha anche ripetuto al manifesto, fra i soliti origami tormentati secondo il racconto dell’intervistatore Andrea Carugati. «Nel draghismo - si legge nel titolo dell’intervista con tanto di virgolette - vedo un’esplosione di spirito antidemocratico». Ma, nonostante questo, un po' correggendo il tiro del brindisi di Capodanno, e finendo - ripeto - col ritrovarsi con le valutazioni e gli auspici di Berlusconi, il sorprendente D’Alema ha parlato del governo in carica meglio di quanto abbia fatto lo stesso Draghi qualche giorno fa nella conferenza stampa sulle ultime misure adottate contro la pandemia. «Il premier - ha detto l’unico esponente del fu Pci che sia riuscito sinora a guidare un governo nella storia della Repubblica - svolge efficacemente il suo ruolo internazionale spendendo la sua forte credibilità, a Bruxelles e con gli Stati Uniti. Sul lato interno fa il possibile con una maggioranza contraddittoria e inevitabilmente divisa, cerca i compromessi possibili. Fa politica quindi misurandosi con una realtà rispetto alla quale non esistono super poteri in grado di produrre soluzioni miracolistiche». Se Draghi, letto il manifesto, non ha ancora fatto una telefonata a D’Alema per ringraziarlo ha compiuto un errore. Farebbe bene a correggersi. Ma forse non ha gradito il sottinteso - ma neppure tanto - del ragionamento di D’Alema, che è lo stesso di Berlusconi. Parlo del sottinteso esplicitato dal manifesto nel titolo di prima pagina con questo invito a Draghi: finisca il suo lavoro, naturalmente a Palazzo Chigi sino alle elezioni ordinarie del 2023.