Un giorno di festa, taglia corto Matteo Renzi. Dal suo punto di vista, ha ragione. Il via libera definitivo della Camera alla legge sulle unioni civili contiene più di un motivo di soddisfazione per il presidente del Consiglio. Il primo e più significativo riguarda il mantenimento della parola data. Renzi, infatti, segnando la road map del governo di qui al referendum costituzionale di ottobre, proprio il provvedimento che legittima i legami tra persone dello stesso sesso aveva messo in cima. Perché colma un vuoto legislativo che durava da troppo tempo e che ci piazzava tra gli ultimi in Europa a non saper disciplinare la questione. Perché conduce in porto una misura che vanamente era stata inseguita da altri governi di centrosinistra: i tormenti dei governi Prodi e le peripezie dei Dico sono esemplare. Il presidente del Consiglio può perciò dire di essere riuscito a centrare un obiettivo che finora era sfuggito a chiunque. Un bel trofeo da mettere nel palmarès. Infine l’approvazione delle unioni civili riequilibra a sinistra il profilo politico del premier, smontando il paradigma di chi lo accusa di scivolare inesorabilmente verso sponde moderate sulle orme di Berlusconi, accuse divenute veementi dopo il connubio con i voti di Verdini, presenti peraltro anche in questo passaggio come quelli di Ncd. Al dunque, il nastrino arcobaleno sfoggiato in aula dal ministro Maria Elena Boschi rappresenta tutt’altro che un semplice vezzo.Ma accanto a quelle positive ci sono anche, e inevitabili, note negative dal valore non trascurabile. La prima riguarda l’uso della fiducia. Da strumento per gestire i lavori d’aula, il voto per appello nominale è diventato una costante nel comportamento del governo Renzi: 54 volte, un record assoluto. Come sempre, il troppo stroppia. Soprattutto in materie così delicate. Non erano possibili rinvii, è la giustificazione di palazzo Chigi. Forse. Ma non in questo caso. A Montecitorio infatti, la maggioranza può contare su numeri assai larghi: se ha usato la fiducia è perché temeva non tanto e non solo rallentamenti nei tempi quanto tagliole sul voto di qualche emendamento. E se questo era il timore, pur appunto in presenza di margini ampi, significa che le incertezze sulla tenuta della coalizione e la fragilità del patto che la sostiene non sono preoccupazioni infondate.La seconda nota negativa è politicamente più inquietante. Attiene all’affondo polemico di gramnde intensità vibrato dalla Chiesa. Che la scomunica appartenga alla gerarchia bergogliana, la rende ancora più urticante. Non è il caso di prendere il pallottoliere e vedere quanto pesa il rigetto d’Oltretevere. Il tempo dell’unità politica dei cattolici è tramontato, anche e soprattutto nelle urne. Tuttavia è innegabile che la determinazione di Renzi, il voler procedere usando gli scarponi chiodati - che si conferma essere la sua cifra politica - gli ha alienato non poche simpatie in Vaticano. Magari il presidente del Consiglio può fare spallucce di fronte agli anatemi lanciati dai responsabili del Family day e alle ritorsioni annunciate nel voto sul referendum costituzionale di ottobre, passaggio politico delicatissimo. Come pure può sorridere di fronte all’insurrezione del centrodestra che oggi annuncerà la decisione di avviare la procedura per un referendum abrogativo: questione di anni, se va bene.Però è altrimenti innegabile che proprio in vista della decisiva consultazione popolare sul nuovo Senato (e magari anche per le Amministrative di giugno), Matteo Renzi da oggi ha qualche avversario in più di prima, e qualche supporter in meno. E’ un po’ più solo, insomma. E non è detto che questa sia la condizione migliore per vincere.