Niente governicchi, di scopo, tecnici o altro: se vince il No a palazzo Chigi ci sarà una seggiola vuota da riempire. E' l'affondo di Matteo Renzi: se non passa la riforma, allora restare premier per essere rosolato a fuoco lento dagli avversari e soprattutto dalla minoranza dem non è una prospettiva che lo alletta. Difficile dargli torto. Le modifiche alla Costituzione sono il fiore all'occhiello della sua leadership, lo stigma della sua rincorsa politica fino alla presidenza del Consiglio. Se gli italiani le rigettano, è giocoforza che il testimone passi ad altri. Naturalmente per Renzi si tratta di una prospettiva solo teorica: «Sono convinto che vincerà il Sì e tutti questi discorsi risulteranno inutili».E' possibile. Solo che, almeno finora, i sondaggi dicono cose diverse e molto più spiacevoli per l'ex sindaco fiorentino.Dunque il problema di cosa fare se lascia, esiste. I più benigni sostengono che un attimo dopo le dimissioni il capo dello Stato gli riaffiderà l'incarico e lo spedirà alle Camere per la verifica sulla fiducia. Forse. Però se Matteo insiste a dimettersi, non è che Mattarella può costringerlo a restare. E a quel punto si apre il vaso di Pandora del sostituto. Che non c'è. Già perché parecchi, dentro e fuori il perimetro della maggioranza, vorrebbero che rimanesse in carica indipendentemente dal risultato delle urne: proprio per la difficoltà non da poco di trovare un successore.In ogni caso, pur cioè se estromesso dalla sala decorata con gli arazzi di Rubens, Renzi rimarrebbe (o no?) numero uno del Pd. E qui il discorso si fa più intrigante. Da leader di partito Matteo acconsentirebbe al varo di quel governo - tecnico, di scopo, istituzionale o altro - che si rifiuterebbe di guidare da premier? Anche qui la risposta è una sola: difficile che possa mettersi di traverso in una condizione di turbolenza estrema, con la speculazione in agguato e lo spread pronto a scattare. Certo avrebbe inevitabilmente influenza decisiva sulla scelta della persona: altro ginepraio al momento indecifrabile.E poi la riforma elettorale, cioè il cambio di quell'Italicum approvato con voto di fiducia ma paradossalmente destinato a essere rivisto pur senza mai essere stato messo all'opera: una sorta di super-rottamazione preventiva. Un record.Logica vorrebbe che la eventuale maggioranza che si realizzasse per sostenere il governo nato sulle macerie del Sì sconfitto fosse la stessa pronta a varare la riforma della riforma del sistema di voto. Però mica detto: troppo facile. Infatti la maggioranza di governo annovererebbe anche Forza Italia? Accompagnata o no dalla Lega? E la riforma elettorale vedrebbe la partecipazione dei grillini? Oppure se la dovrebbero sbrogliare solo Pd e Berlusconi? Per varare un sistema proporzionale? E di che tipo?Bel labirinto. Di quelli che una volta che ci entri non esci più. In altri termini, tante domande, nessuna risposta. Almeno al momento.Stando così le cose, si capisce perché Renzi sbandieri la continuità e la stabilità come valori assoluti. Perché per come è la situazione, sono condizioni fondamentali che solo la sua permanenza può garantire. E la sua permanenza a capo del governo dipende dalla vittoria del Sì. Chi ama i sillogismi, fa presto. Chi non li conosce, capisce lo stesso.Si comprende, guardando le cose dal fronte opposto, anche perché i tanti avversari di Matteo insistano perché lui resti in carica. E' il modo per loro più facile di lucrare la vittoria senza pagare il prezzo del "dopo". Costo di fatto altissimo: perché la minoranza dem non ha né un programma alternativo né soprattutto un leader da spendere. Idem Berlusconi: non può proporre se stesso, non può appoggiare soluzioni di sapore radicale con le stimmati di partiti anti-sistema; non ha più una figura moderata da avanzare, avendo appena licenziato su due piedi Stefano Parisi. L'italica fantasia può spingersi fino ad immaginare un esecutivo retto dall'astensione del Pd e i voti favorevoli di forzisti e centristi vari. Una cosa di sapore spagnolo, pur se a parti rovesciate. Sarebbe un governo siffatto in grado di reggere l'urto dell'assalto dei mercati e fronteggiare la resa dei conti - economici e non solo - con la Ue? E come potrebbe affrontare l'emergenza migranti o quella della sicurezza? Interrogativi che sono altrettanti incubi. Che attanagliano chi dovrà comunque decidere, a partire dal Colle. Forse a urne chiuse e risultato acquisito il pressing sarà tale da indurre Renzi a mitigare la sua intransigenza. Niente Armageddon, niente apocalisse: dopo il 4 dicembre arriverà il 5 e l'Italia avrà comunque la forza di andare avanti. Certo è che la tempesta perfetta che si scatenerebbe con la vittoria del No imporrebbe la presenza di un nocchiero di mano ferma e mente lucida. Auguri.