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Una newsletter periodica, tanto per esserci, e una relazione in Direzione abbastanza generica per farci entrare tutto. Qualche battuta fatta filtrare dagli “amici” che stanno lì per quello, unite a malinconiche confidenze sulla squadra di calcio del cuore. Oppure una mediatica rinuncia, condita dai consueti insulti ai giornalisti e dal ritorno al mestiere che conosce meglio: il comico. Tra le principali leadership politiche italiane vige la regola del silenzio. Eppure non è che non ci siano cose da commentare. Tanto per dire: dalla secessione catalana alla strage di Las Vegas alla legge di Stabilità. Che saranno pure pochi spiccioli, va bene, ma non doveva essere l’arena dello scontro prelettorale? Perfino le elezioni siciliane, certificata ordalia per stabilire la pole tra i partiti alle urne 2018, sembra ridotta ad un sussurro. Più degli eterni scompigli a sinistra e delle diatribe nord- sud a destra, la cosa che davvero colpisce dell’eterno melodramma politico italiano è l’improvvisa afasia delle maggiori leadership. Ciascuno a modo suo, infatti, Renzi, Berlusconi e Grillo preferiscono serrare le labbra di fronte alle emergenze, italiane e no. Per tanti è un bene: finalmente il profluvio parolaio si è arrestato e il bucolico andazzo consente di far riposare le orecchie in vista dell’inevitabile uragano polemico che si scatenerà non appena il Quirinale avrà suonato il gong di fine legislatura. Certo. Però colpisce lo stesso il fatto che personaggi abituati alla eccitata sovraesposizione nelle piazze o nei tubi catodici adesso - tutti allo stesso tempo seppur ciascuno con le modalità che gli sono proprie - optino per la risacca antilogorroica dopo aver usato fino allo sfinimento la carta della loquacità garrula e onnicomprensiva. Una condivisa strategia mutacica che lascia spazio a figure sicuramente importanti nell’uno e nell’altro fronte: da Salvini alla Meloni ( una cui intervista è in altra pagina di questo giornale); da Pisapia a D’Alema. Ma, sia detto con tutto il rispetto, si tratta di comprimari la cui presenza sul proscenio della politica invece di lenire il vuoto dei protagonisti finisce per accentuarlo. Nè d’altra parte - e forse sta qui l’elemento di maggior inquietudine - è possibile sostenere che un simile taciturno registro induca negli elettori la sensazione di essere alle prese con leader responsabili e pensosi, chiusi nel riserbo della riflessione approfondita per meglio studiare e individuare le giuste soluzioni ai mali del Paese. E allora perchè tanta lacoonicità? Le ragioni possono essere molteplici. Ma il punto è che anche la migliore propaganda alla fine un nocciolo di proposta verosimile e concreta la deve contenere. E il problema sta qui: cosa Pd, FI e Cinquestelle possono credibilmente ed efficacemente mettere sul tavolo elettorale per convincere gli italiani a rinunciare allo sport che da anni sembrano preferire: l’allontanamento dalla urne? Banalmente, si può sostenere che Renzi, Berlusconi e Grillo ( o Di Maio in sua vece, per chi ci crede) hanno problematiche simili e soluzioni opposte. Di regola, infatti, le elezioni si vincono sulla base di un calibrato mix tra fluido leaderistico, persuasive proposte programmatiche e capacità di aggregare alleanze in vista di possibili maggioranze di governo. Ecco, allora mettiamola così. Berlusconi ha senz’altro le alleanze perchè, come si è visto anche alle ultime amministrative, dal punto di vista aritmetico i voti sommati di Fi, della Lega e di Fdi portano il centrodestra al primo posto. Però, nostante le tante rassicurazioni contrarie, non ha il programma perché praticamente su tutti i temi più importanti i tre partiti viaggiano ognuno per conto proprio e la sintesi latita. Renzi, al contrario, il programma ce l’ha e l’ha scritto nel suo ultimo libro “Avanti”: può piacere o meno, però è nero su bianco ed è un bel vantaggio. Solo che gli mancano le alleanze: alla sua sinistra ne fanno il bersaglio di freccette al curaro; a destra il possibile accordo con l’ex Cav produce vistose orticarie dentro e fuori il partito. L’unico legame, vedi Sicilia, è con Ap di Alfano e, di nuovo, con il “responsabile” Verdini: un po’ pochino. Quanto ai Cinquestelle non hanno bisogno di programma perchè il grido “onestà” basta e avanza; le alleanze sono bestemmie in chiesa e la leadership è per un verso ereditaria e per l’altro algoritmica: dunque esoterica. Se le cose stanno così si capisce bene perchè la strategia del silenzio trova spazio: se il colpo d’ingegno non è a portata di mano, allora è meglio centellinare le uscite mediatiche. Peccato che i cittadini avrebbero bisogno esattamente del contrario: di un confronto chiaro, aperto, intelleggibile sulle strade da imboccare per consentire all’Italia di riprendere a correre visto che è in rallentamento più o meno dagli anni ‘ 90. Qualcuno dirà che una cosa così non c’è in nessuna parte del mondo: vedi Brexit, vedi elezione di Trump, di Macron e campagna elettorale tedesca. La risposta è: giusto, e allora? L’Italia di una disfida di tale portata ha bisogno come il pane. Se non la ingaggiano Renzi, Berlusconi e Grillo nessuno lo farà al posto loro. Gli italiani continueranno a chiedersi di che pasta sono queste leadership. E nessuna delle tre minoranze diventerà mai maggioranza. Il declino arriva così.