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I risultati elettorali dell’ultima tornata amministrativa, che hanno fatto esplodere le contraddizioni del centrodestra, si mischiano con la tensione crescente in vista delle candidature per le prossime Regionali. Sicilia, Lombardia e Lazio saranno chiamate al voto a partire dal mese di novembre, con l’appuntamento siculo che sarà fissato per primo, e il rischio che si ripetano le spaccature che hanno portato alle cocenti sconfitte di domenica scorsa. Verona su tutte, è sempre più elevato.
«Vogliamo stare uniti o no?» ha chiesto con forza Giorgia Meloni che ha duramente criticato l’atteggiamento di Flavio Tosi a Verona e la stessa condotta di Forza Italia che avrebbe preferito lasciare vincere il centrosinistra piuttosto che sostenere il candidato sindaco di Fdi. Indispensabile, a questo punto, un vertice tra i leader per ritrovare la sintesi. Berlusconi ha già messo a disposizione Arcore, Salvini si è detto disponibile e La Russa ha chiesto di voler sapere solo data e luogo, facendo trapelare così che Arcore non andrebbe più bene.
Di fatto, però, la data del vertice non arriva e rischia di non arrivare, almeno a breve, perché le tensioni fra i partiti sono altissime e si rischierebbe un nuovo flop, così come già avvenuto in occasione dell’ultima riunione che ha preceduto le elezioni comunali. Inoltre Fdi, che vuol far valere il ruolo di primo partito della coalizione, si aspetta un summit fuori dai vecchi schemi, magari in territorio neutro ( non ad Arcore), dove non sia più Berlusconi a fare il padre federatore, ma venga riconosciuto il ruolo trainante di Fdi, primo partito della coalizione.
Non a caso Giorgia Meloni, dopo essersi schierata decisamente verso il blocco atlantista ed europeista nella gestione della crisi in Ucraina, sembra volere fare della moderazione il nuovo leitmotiv della sua leadership. Non sta mostrando i muscoli dopo i risultati ottenuti alle urne e, in vista delle elezioni regionali, ha sorpreso un po’ tutti iniziando a parlare della Lombardia e slegandola dalle scelte in Sicilia dove il suo uomo Nello Musumeci continua ad essere sotto il tiro degli alleati di Lega e Fi che si oppongono strenuamente alla sua ricandidatura.
In un primo momento la linea di Fdi era stata un’altra: i governatori uscenti vanno ricandidati e, quindi, sia Attilio Fontana in Lombardia che Musumeci in Sicilia avrebbero dovuto avere lo stesso destino. Separando le due partite, Meloni lascia dunque spazio agli alleati, e alla Lega soprattutto, che dovrebbero arrivare facilmente alla riconferma di Fontana e sgonfia l’ipotesi Letizia Moratti che si stava facendo avanti proprio nella tensione generale.
Meloni, ovviamente, conta di riuscire così ad ottenere nei fatti il doppio risultato di avere la scelta del candidato governatore sia in Sicilia che nel Lazio. Arrivando, magari, anche a ipotizzare il sacrificio di Nello Musumeci che, non a caso, qualche giorno fa aveva prima annunciato il suo ritiro per poi smentirlo in una successiva conferenza stampa in cui ha precisato che il suo è «un passo di lato» e che sarebbe disposto anche alla rinuncia per tenere il centrodestra unito.
La soluzione è, ovviamente, demandata al tavolo nazionale, ma è più di una suggestione che tra i papabili sia entrato di diritto l’ex sindaco di Catania ed attuale eurodeputato di Fdi Raffaele Stancanelli. Un nome che non troverebbe l’ostilità della Lega e, soprattutto, di quella parte di Forza Italia legata a Gianfranco Miccichè che vede come fumo negli occhi un’eventuale ricandidatura del governatore uscente. L’appuntamento nel Lazio è ancora lontano, e il nome del deputato Francesco Lollobrigida, seppure quest’ultimo abbia manifestato ritrosia ad un impegno di questo tipo, rimane nell’arena. Di sicuro Meloni ritiene, però, che anche questa Regione tocchi al suo partito.
Ed allora con il via libera a Fontana in Lombardia e la concessione di un cambio del nome in Sicilia, la leader di Fdi spera di potere ottenere il dividendo più ampio possibile, evitando ulteriori scontri interni e assumendo per questa via il ruolo di vero federatore del centrodestra che Berlusconi, invece, continua a sentire sempre suo.