Due modi opposti di vedere il mondo del lavoro e, in definitiva, l’intera società. È su questo tema che si giocano i referendum sul lavoro di domenica e lunedì, più che sulle singole questioni tecniche. Certo il reintegro dopo un licenziamento illegittimo, l’indennizzo per tali licenziamenti, le causali sui contratti a termine e la corresponsabilità tra committenti e appaltatori in caso di incidenti sul lavoro sono questioni importanti, ma sia tra le ragioni del sì che tra quelle del no o dell’astensione ci sono valide motivazioni.

Il punto è dunque la differenza tra chi, come il segretario della Cgil Maurizio Landini, difende strenuamente i diritti dei lavoratori a prescindere dalle necessità delle imprese e chi, come Matteo Renzi che del Jobs act è il padre, preferisce parlare di “imprenditori” e non di “padroni”, difendendo i risultati della flessibilità del mercato del lavoro raggiunti con quella legge.

Con Landini ci sono anche il Movimento 5 Stelle, Avs e il Pd di Elly Schlein, mentre centristi e centrodestra si dividono tra “no” e astensione. Il partito più diviso al proprio interno è tuttavia proprio il Pd, visto che la linea della segretaria non è condivisa dalla minoranza riformista, di cui fanno parte molti che il Jobs act contribuirono a scriverlo.

In caso di netta sconfitta al referendum, con il quorum lontano dall’essere raggiunto, gli ex renziani torneranno all’assalto di Schlein chiedendole conto di una tale campagna contro una legge fatta dal Pd. Ma se pur non raggiungendo il quorum molte persone si recheranno alle urne allora la leader dem potrà rivendicare l’impegno per una battaglia che più volte ha definito «giusta e necessaria», continuando la costruzione di quel campo largo che punta a vincere le elezioni Politiche del 2027.

Nello specifico, il primo quesito, scheda verde, propone di abrogare uno dei decreti legislativi con cui è stato attuato il cosiddetto Jobs Act, la riforma sul lavoro promossa nel 2015 da Matteo Renzi durante la sua presidenza del Consiglio. Se vincesse il “Sì”, tornerebbe ad aumentare il numero dei casi in cui i lavoratori licenziati possono ottenere il reintegro, ma a fronte di questo beneficio la vittoria del “Sì” comporterebbe anche, in certe circostanze, «un arretramento di tutela», come evidenziato dalla Corte costituzionale: in sostanza, per alcune categorie di lavoratori le cose andrebbero un po’ peggio.

Il secondo quesito, scheda arancione, chiede di rimuovere i limiti massimi di indennizzo in caso di risarcimenti per le imprese con meno di 15 dipendenti. Se il referendum venisse approvato, a decidere sul valore massimo del risarcimento che l’azienda dovrà dare al lavoratore licenziato sarebbe un giudice, chiamato di volta in volta a valutare sul singolo caso.

Il terzo quesito, scheda grigia, propone di abrogare una parte di un decreto legislativo in base al quale un datore di lavoro può assumere a tempo determinato un lavoratore per il primo anno senza darne una motivazione (la cosiddetta causale), mentre è obbligato a specificare la causale se la durata di quel contratto precario si prolunga oltre il primo anno. Se dunque il quesito venisse approvato, il datore di lavoro dovrebbe indicare fin dall’inizio il motivo per cui assume una persona con un contratto di breve durata anziché con uno a tempo indeterminato.

Il quarto quesito, scheda rossa, riguarda invece la cosiddetta corresponsabilità solidale tra impresa committente e impresa appaltatrice in caso di incidenti sul lavoro. La legge attualmente in vigore prevede che quando c’è un appalto, il committente sia corresponsabile con l’appaltatore o il subappaltatore per gli infortuni accaduti ai dipendenti di questi ultimi. Se il quesito venisse approvato, il committente sarebbe sempre corresponsabile in solido per gli incidenti.