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La Segretaria Elly Schlein alla direzione nazionale del PD — Roma, Italia - Giovedì , 27 Febbraio 2025 (foto Cecilia Fabiano/LaPresse) The Secretary Elly Schlein at Democratics National Directive — Rome , Italy - Thursday February 27 , 2025 (photo Cecilia Fabiano / LaPresse)
«Non rappresentano la posizione del partito». La reazione, durissima, alla lettera pubblicata ieri mattina da sei riformisti del Pd su Repubblica è arrivata per bocca della responsabile Lavoro del Nazareno, Maria Cecilia Guerra. «Il Pd ha preso un orientamento molto preciso sul referendum in direzione: abbiamo votato all’unanimità per 5 sì - ha detto Guerra - Vari hanno scelto di non partecipare ed esiste la possibilità di esprimersi in modo diverso, però loro non rappresentano la posizione del Pd ma la loro e sono liberi di esprimersi».
Il riferimento è alla lettera firmata da sei esponenti dem dell’area riformista, dal presidente del Copasir Lorenzo Guerini, alla vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno, fino all’europarlamentare Giorgio Gori, passando per le deputate dem Marianna Madia e Lia Quartapelle e per il senatore Filippo Sensi. I sei hanno annunciato che voteranno a favore solo dei quesiti sulla cittadinanza e sugli appalti, astenendosi sugli altri quesiti che riguardano il Jobs act «misura introdotta 10 anni fa dal partito democratico». Misura che oggi lo stesso Pd - sottolineano - rispondendo alla sollecitazione della Cgil, sconfessa invitando a votare “si” ai quesiti e che rimane l’ultimo provvedimento organico sul lavoro approvato in Italia per armonizzare la nostra disciplina a quella degli altri Paesi Ue ispirato alle migliori esperienze giuslavoriste delle socialdemocrazie europee».
Il referendum non è lo strumento adatto, continuano i sei, perché «per restituire dignità al lavoro servirebbero invece le politiche attive previste dal Jobs act e non realizzate, un grande investimento in formazione e aggiornamento dei profili professionali, un nuovo patto che tenga insieme innovazione, produttività, salari e una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese».
Tra le altre cose servirebbe il salario minimo, e su questo almeno tutto il Pd è compatto. «Ciò che non serve invece è agitare un simulacro fuori tempo con un dibattito che distrarrà l’attenzione dai veri problemi, oltre a creare divisioni in campo progressista sindacale (Cisl contraria, Uil per la libertà di voto) - insistono - Per tutte queste ragioni l’8 e il 9 giugno andremo a votare non solo perché è un diritto-dovere costituzionale ma perché la partecipazione al cuore della democrazia. Voteremo “sì” al referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone, discriminate nei loro diritti, e al quesito sulle imprese appaltanti, in un Paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro, ma non voteremo gli altri tre quesiti perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti col passato».
Una presa di posizione forte, già esplicitata in altri contesti ma ora diventata ufficiale e pubblica, tanto da provocare la risposta del partito. Una risposta affidata ai colonnelli, come Guerra, ma alla quale non ha voluto contribuire la segretaria Schlein, la quale ha preferito puntare l’attenzione sul quesito sulla cittadinanza.
«Vogliamo fare tesoro della nostra storia e anche della fatica e del dolore condiviso da chi ha avuto una storia come questa: il modo migliore è imparare qualcosa attraverso queste immagini e soprattutto impegnarci a non fare passare ad altri quello che abbiamo passato noi come italiani quando siamo emigrati - ha detto la leader dem alla proiezione alla Camera del film La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri - Dobbiamo farlo sapendo che abbiamo anche delle occasioni importanti, a partire da un voto di cui si parla così poco ma che ci sarà. L’8 e il 9 giugno noi voteremo convintamente per il referendum sulla legge della cittadinanza che è del ’92. Pensate da quanto tempo non riconosciamo la cittadinanza a chi nasce o cresce in Italia. Per noi chi nasce o cresce in Italia è italiano».
Ma per quanto Schlein cerchi di buttare la palla in tribuna, è evidente che al Nazareno c’è un problema, e neanche di poco conto. Perché per quanto sia lodevole la pluralità nel partito, avere due posizioni opposte su un tema così dirimente come una delle riforme più importanti di un ciclo passato ma pur sempre significativo della storia dem non fa altro che alimentare la polemica con la maggioranza, che infatti ne approfitta.