Uno dopo l’altro, i pezzi sulla scacchiera si posizionano. Ora tocca muovere e cominciare la partita, quella vera. È un compito che spetta a Matteo Renzi. La Corte di Cassazione ha concluso la sua opera, decretando che le firme raccolte per il referendum costituzionale confermativo sono valide.Adesso il governo deve indicare la data di apertura delle urne e il capo dello Stato indire la consultazione popolare. Insomma gli adempimenti, diciamo così, tecnici e procedurali sono ultimati. Da adesso tutto lo spazio verrà occupato dalla politica. Il ministro Boschi lo sa: «Ora la parola è ai cittadini», avverte. E aggiunge: «Basta un Sí».Dal gioco di date al rebus politicoPiù facile a dirsi che a farsi. Intanto definire la data è tutt'altro che, appunto, una scelta tecnica: la politica c'entra eccome. Perché sullo sfondo si staglia il convitato di pietra della riforma elettorale, più che mai pomo della discordia. Affiancato dalla Corte costituzionale che sull'Italicum si pronuncerà all'inizio di ottobre. Il 4 sull'ammissibilità e poche settimane dopo sul merito. È per questo che la decisione sulla data è importante. In un primo momento, il premier voleva anticipare il voto ai primi di ottobre, prima della pronuncia della Consulta, magari con il neanche troppo nascosto fine di condizionarne il giudizio. In senso confermativo, però. Per non avere scherzi che potessero far saltare il complicato equilibrio istituzionale che poggia sulle gambe sia del nuovo Senato che del revisionato meccanismo di voto. Era quando Renzi immaginava il referendum come la sinfonia che corona la conquista del centro della scacchiera, crocevia del potere e della vittoria.Adesso le cose sono cambiate, il vento ha mutato direzione. Le elezioni regionali del 2015, quelle comunali di giugno scorso e una serie di appuntamenti non troppo esaltanti hanno appannato l'immagine del capo del governo e la sua presa sull'elettorato. Dunque il referendum, pressoché vinto in partenza, si è andato via via trasformando in una incognita: nei peggiori incubi replica di quel che il Leave della Brexit è stato per David Cameron. Mentre lo scontro sulla legge elettorale è diventato il perno su cui ruota l'asse della politica italiana. Anche su questo fronte, i pezzi sono tutti collocati. L'annuncio di Roberto Speranza in base al quale la sinistra dem voterà No al referendum costituzionale se prima non verrà modificato l'Italicum, conferma quel che si era già delineato: il Pd, partito-architrave del sistema politico italiano, arriverà diviso - di più, lacerato - all'appuntamento decisivo della legislatura. Non un bel biglietto da visita, anche per le Cancellerie europee. Per Renzi, la pronuncia dei bersaniani comporta un problema specifico. Stavolta infatti a reclamare la revisione della legge elettorale non è più solo la passione - o a volerla dire in modo sofisticato, la suasion - di pezzi storici dell'establishment di sinistra: da De Benedetti a Scalfari passando per Veltroni e tanti altri. Adesso quella bandiera non ha più solo coloriture diciamo culturali: è invece definitivamente diventata una questione politica dirimente, anche e soprattutto dentro al Pd.La sinistra del "no" ombra trasversaleCome è noto, Renzi di cambiare l'Italicum non ha alcune intenzione. Non lo spaventano i "gufi" che si affannano a spiegargli che nel ballottaggio cinquestelle e centrodestra si uniscono pur di vederlo precipitare a terra, e dunque il secondo turno non è una novità bensì una trappola. Né, almeno ufficialmente, gli fanno impressione i sondaggi che danno il No in vantaggio. Dalla consolle di comando di palazzo Chigi, è infatti persuaso di poter vincere entrambe le prove.Ciò detto, un aiutino non fa mai male. È per questo che la data del referendum potrebbe slittare. Stavolta con il segno politico contrario: mandare gli italiani alle urne solo dopo che la Corte costituzionale si è pronunciata. Cercando di lucrare in una doppia direzione. Se infatti la Corte boccerà l'Italicum, Renzi potrà dire che è costretto a modificarlo senza dover pagare pegno né all'opposizione interna al Pd né ai tanti avversari esterni. E sarà comunque il governo a mantenere il pallino dell'iniziativa revisionista. Senza dimenticare che in quel modo la sinistra interna potrebbe rientrare alla casa madre: votare Sì senza perdere la faccia. Se al contrario la Corte bollinerá la legge elettorale, da Palazzo Chigi partiranno una serie di sberleffi indirizzati a tutti i suoi critici. Si capisce dunque perché 5Stelle, centrodestra e Lega si affannino a chiedere che si voti al più presto. Mentre Sinistra Italiana reclama un tavolo di confronto e intesa da cui far scaturire la data.Si vedrà. In ogni caso la data è sì importante, ma la prevalenza dei Sì nelle urne assai di più. Bisognerà cioè che gli italiani, cui appunto spetta il giudizio definitivo, si schierino a favore del presidente del Consiglio. Esito al momento non esattamente scontato. Sarà una campagna elettorale incandescente, in cui si mischieranno tante e troppe cose. Nonostante tanti sforzi, il merito della riforma resterà avvolto nelle nebbie dello scontro politico. Di chi è la colpa?