Quel commento sprezzante e scortese su Marina Berlusconi e la sua lettera al Giornale, Giorgia Meloni rischia di doverlo prima o poi, ma più prima che poi, rimpiangere. La premier, si sa, ha sbrigativamente liquidato la faccenda: «Non è un soggetto politico». Il problema è che invece Marina Berlusconi è potenzialmente l'unico soggetto politico di cui la premier potrebbe preoccuparsi. La primogenita del Cavaliere non ha intenzione di entrare in politica, è vero. Ma è anche vero che Forza Italia, soggetto politico dai cui voti dipende la sopravvivenza del governo, esiste solo grazie ai forzieri Mediaset: è un partito sul quale Marina e il fratello Piersilvio hanno, non per modo di dire, potere di vita o di morte.

La presidente di Fininvest, con la sua lettera, ha ricordato al governo l'accordo stretto con suo padre sulla riforma della giustizia. Lo ha fatto non a caso dopo aver visto la premier ingranare una rapidissima retromarcia su quel fronte, arretramento denotato anche dal silenzio con il quale i partiti della destra e il governo hanno accolto l'indagine della procura di Firenze che indigna la figlia di Silvio Berlusconi. Il bavaglio per Nordio, che aveva concordato proprio con Berlusconi le riforme della giustizia in agenda, l'esaltazione del concorso in associazione mafiosa, reato del quale si sa cosa pensava la buonanima, la stessa rispostaccia sulla sua lettera hanno confermato le paure di Marina: la premier, nella sostanza, considera la riforma radicale della giustizia morta con Silvio. Non ha alcuna intenzione di entrare in guerra con la magistratura e di guastarsi i rapporti col Colle per onorare un'intesa della quale, intimamente, non è probabilmente mai stata convinta. Le voci dall'universo Mediaset dicono che la primogenita non ha affatto preso bene la sberla affibbiatale dalla presidente del consiglio e tantomeno la svolta sulla giustizia.

I figli di primo letto del patriarca scomparso potrebbero reagire togliendo l'ossigeno a Fi, tagliando ogni ponte con il «soggetto politico» e l'implosione che ne seguirebbe farebbe ballare il governo. Ma questa è l'ipotesi per l'inquilina di palazzo Chigi meno temibile. L'alternativa, quella sì preoccupante, è che invece Marina reagisca al tradimento sulla giustizia spingendo il partito a prendere progressivamente le distanze dal centrodestra. Da questo punto di vista la situazione degli alleati di FdI è opposta: la Lega non ha margini di gioco, almeno sul piano del governo nazionale. Forza Italia può ambire a proporsi come vero e già esistente “terzo polo” attraendo così tutti o quasi i frammenti centristi.

Non si tratterebbe di una manovra facile e Antonio Tajani non sembra essere leader in grado di tentarla. Matteo Renzi invece sì e ci sono pochi dubbi sul fatto che consideri quella via almeno ipoteticamente praticabile. È stato l'unico leader a criticare Meloni per i toni usati con Marina Berlusconi e a difendere a spada tratta la memoria del padre dalle accuse ipotizzate dalla procura di Firenze. Si è schierato con il centrodestra sulla proposta che per il resto dell'opposizione rappresenta la prima linea, il salario minimo. Ma soprattutto l'identità di vedute con Fi sulla giustizia è assoluta. Calenda lo accusa apertamente di veleggiare verso Arcore ed è impossibile accusarlo di esagerata sospettosità. È probabile che l'ex premier e segretario del Pd guardi prima di tutto alle prossime Europee ma si può escludere che il suo orizzonte si fermi lì. Un accordo con Marina Berlusconi lo metterebbe in grado di giocare in questa legislatura lo stesso ruolo che ebbe in quella precedente, quella in cui fece nascere e cadere il governo giallorosso e determinò l'arrivo di Draghi a palazzo Chigi. Senza la copertura dell'erede del sovrano è una manovra impraticabile: la fragile tregua all'interno di Fi, dovuta solo alla necessità di sopravvivere senza più il fondatore, non reggerebbe un attimo. Se a spingere in quella direzione fosse la figlia primogenita di quel fondatore, con tutto il peso che le garantiscono il nome e i crediti che vanta nei confronti del partito, le cose sarebbero non diverse ma opposte. Quel che resta dell'armata azzurra si adeguerebbe con poche eccezioni e non si potrebbero neppure escludere autorevoli rientri nei ranghi fozisti.

Certo, Giorgia Meloni, come capo del governo, ha solidi argomenti per tenere a freno Marina Berlusconi, in nome dell'interesse dell'azienda. Ma la presidente di Fininvest potrebbe presto avere in mano la sopravvivenza del governo e come argomento è solido anche quello. Meloni è una politica abile e navigata: difficile credere che non si renda conto da sola della situazione. Forse quell'improvvido sbotto era anche un auspicio, quello che Marina Berlusconi non decida di essere, direttamente o indirettamente, precisamente un soggetto politico a tutto tondo.