I titoli urlati della stampa e dei tiggì raccontano lo sbalordimento degli osservatori di fronte al conflitto all’arma bianca che Di Maio e Salvini imbracciano ogni giorno su nuovi oggetti di contesa. Certo, così il campo della politica è preso tutto dai gialloverdi e alle opposizioni non resta che la mancia di qualche briciola di elettorato. Ma la dialettica intra- governativa, chiamiamola così, lede e consuma persino i contratti più cavillosi, quelli pensati dai causidici a tutela dei clienti esigenti e danarosi, figurarsi se non mette alla prova la già esausta pazienza degli elettori. E, se per il momento non sembrano essere in grado di avvantaggiarsene troppo i partiti all’opposizione- anche per l’overdose di copertura mediatica garantita al governonon è detto che la frattura interna possa essere riassorbita senza danni collaterali. A ben vedere la divaricazione tra pentastellati e leghisti si sta allargando, seppur in modo confuso e istintuale, lungo la linea di frattura più classica, quella destra/ sinistra, con toni sempre più aspri e irriducibili. C’è il calcolo elettorale, certo - e attenzione a chi ha frettolosamente recitato il de profundis dei pentastellati: l’appropriazione di temi “sociali” in contrapposizione alla virata reazionaria della Lega li sta riconnettendo con fasce di elettorato che sarebbero dovute tornare al Pd- ma c’è anche qualcosa di vero. Insomma, pur scontando il fatto che i nuovi governanti seguano lo spirito del tempo, incapaci di calibrare sfumature e di vestire parole diverse da quelle basiche e semplificate del bar sport, per cui pure quando fanno finta di litigare si vomitano addosso senza troppi riguardi tutto il vomitabile, qualche cosa di irreparabile sta accadendo nel patto di governo, fratturato dallo strabismo ideologico dei due contraenti ma anche dal diverso destino che si stanno assegnando: l’uno di egemonia a sinistra, l’altro di egemonia a destra. Salvini corre verso le elezioni politiche, checché ne dica e ne dissimuli. D’altro canto non può attendere troppo ancora per andare all’incasso: i cicli sono diventati brevi e il favore del popolo già si stà smosciando. La legislatura finirebbe troppo presto? Da che esiste la democrazia repubblicana su 18 legislature ( e la 18ma è quella in corso) ben otto volte si è andati al voto anticipato e in tre occasioni la durata è stata solo di due anni.

Di Maio forse non cerca lo show down elettorale ma non può fare a meno di prepararsi all’eventualità. Peraltro dopo aver infranto il tabù del “mai alleati con nessuno” si aprono per il M5S altre strade: il Pd di Zingaretti, per esempio, che è diverso dal Pd di Renzi. E poi domina su tutto l’aritmetica parlamentare, condizionata dal rosatellum, che obbliga a considerare più probabili i governi di coalizione piuttosto che le maggioranze monopartitiche autosufficienti. È questa la cartolina illustrata che ci manda il futuro prossimo. Al momento l’ingombro delle europee e del voto in 3400 comuni. A proposito: avete provato a dare un’occhiata ai cartelloni posti dai comuni per la propaganda elettorale nelle nostre città? Sono spariti i manifesti: desolanti nudità di spazi di ferro che nessuno coprirà con quelle facce coi sorrisi storti e gli slogan fatti in casa che usava fino a ieri. Anche i “Santini” non usano più. Un’altra vittima del signor Whatsapp e colleghi: la tipografia. Gloriosa levatrice di campagne elettorali del passato.