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Il banchiere Fabio Panetta e il generale Paolo Figliuolo
Il progetto del governo, illustrato dal ministro per la Protezione civile Musumeci emesso nero su bianco nel dl Ricostruzione, è ambizioso, quasi faraonico. Una struttura unica, regole fisse, tempi contingentati per tutte le emergenze naturali, alluvioni, terremoti e sinistri vari. Essendo i succitati piuttosto comuni a maggior ragione in seguito ai cambiamenti climatici si tratterà di una struttura di prima grandezza. La specifica è importante per mettere a fuoco il ruolo che il governo Meloni intende affidare al generale Paolo Figliuolo e che va molto oltre il compito di dirigere la ricostruzione della Romagna. I presidenti di Regione, ha sottolineato Musumeci, saranno “vicecommissari”, evidentemente coinvolti direttamente a seconda di quale sia il territorio colpito.
Stefano Bonaccini, che sarebbe stato il candidato naturale alla ricostruzione della regione di cui è governatore, ha fatto per quanto possibile buon viso a cattivo gioco ma non ha potuto evitare un appunto preciso: «È un modello centralistico». Infatti è proprio così. La logica della premier, in coerenza con la sua storia politico- culturale, è centralistica e ciò potenzia ulteriormente il peso di Figliuolo, l'uomo che Mario Draghi chiamò nel marzo 2021 per sostituire il “contiano” Arcuri nella direzione della vaccinazione di massa anti Covid. Un uomo di Draghi ingaggiato dalla sola leader che fosse all'opposizione di quel governo.
Nella stessa giornata della importante nomina, il governo ha fatto partire il complesso iter per la definizione di una casella ancor più importante, quella del governatore di Bankitalia. La scelta di Fabio Panetta non ha stupito nessuno. Era già nota e anzi la premier avrebbe voluto l'economista oggi membro del board Bce al ministero dell'Economia, offerta declinata proprio perché Panetta non voleva perdere la chance di succedere a Visco in via Nazionale. Ma il fatto che la nomina fosse scontata non cambia il fatto che, in sé, la scelta non sia affatto priva di significato. Panetta, per cultura economico- politica e biografia professionale, è uomo di Draghi non di una destra sovranista.
La nomina di Panetta lascia vacante il seggio del futuro governatore nel board Bce, postazione per l'Italia importantissima. Formalmente non è detto che a rimpiazzare Panetta debba essere un altro italiano ma dal momento che il governatore in pectore ha ricoperto l'incarico solo per tre anni sugli otto del mandato è probabile che l'avvicendamento tocchi a un altro economista italiano. In ogni caso, Giorgia Meloni, prima di indicare Panetta, avrebbe ricevuto assicurazioni in questo senso dalla presidente della Bce Lagarde.
Lagarde vorrebbe che il posto andasse a una donna e in quel caso in pole position ci sarebbero Alessandra Perazzelli, attualmente nel Supervisory Boar del Single Supervisory Mechanism della Bce e la professoressa Elena Carletti, cda Unicredit ma anche professore di ricerca presso Bundesbank. Si tratterebbe in entrambi i casi di nomine gradite all'ex premier che avrebbe voluto Perazzelli presidente della Rai. Ma in corsa ci sono anche candidati maschi, tra i quali l'ex ministro dell'Economia Daniele Franco. Insomma se non certo è quanto meno assai probabile che anche la poltrona italiana nel board Bce andrà a un draghiano, anzi a una draghiana.
Del resto lo stesso ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti fu scelto, dopo il no di Panetta, molto più in virtù della sua vicinanza a Draghi, e di conseguenza della sua affidabilità per Bruxelles, che non grazie alla postazione di numero due del Carroccio, titolo che casomai nella Ue viene letto come puro demerito. Chiude ( per ora) la lista Roberto Cingolani, il ministro della Transizione di Draghi diventato consigliere per l'energia del nuovo governo e dal 9 maggio ad di Leonardo.
È il disegno di Giorgia Meloni ed è un disegno spericolato: coniugare politiche nazionaliste, cosa diversa dal sovranismo, con l'adesione di fatto, concretizzata in nomine sonanti, alla visione di Mario Draghi. Sinora il gioco di prestigio ha funzionato: lo scontro in atto non tanto sul Mes quanto sulle politiche della Bce anti- inflazione dimostra che presto potrebbe mostrare la corda.