Al momento sono solo voci di corridoio, amplificate da un retroscena di Repubblica, smentite da Giuseppe Conte. Ma l’ipotesi di un gran ritorno di Ignazio Marino alla politica, candidato governatore del Lazio tra le file del Movimento 5 Stelle, è una suggestione che piomba come un fulmine a ciel sereno nei palazzi romani. Per il Pd, alle prese con una crisi d’identità profonda e già spaccato sul dopo Zingaretti, il ritorno improvviso del “marziano” dagli Stati Uniti sarebbe un colpo basso difficile da incassare. Per i grillini, al contrario, ancora galvanizzati per il buon risultato elettorale del 25 settembre, sarebbe l’ennesimo attacco a sorpresa consumato ai danni dell’ex alleato. Perché il nome di Ignazio Marino, per il popolo dem, è ancora una ferita aperta tra la base e la dirigenza del Partito democratico, che sette anni fa decise in maniera poco onorevole di disarcionare il “proprio” sindaco di Roma con dimissioni di massa dal Consiglio comunale davanti a un notaio. Se Conte davvero riuscisse a convincere il chirurgo a scendere in campo metterebbe in estrema difficoltà il Nazareno, conscio della popolarità di Marino (il primo sindaco a trovare il coraggio di chiudere la discarica di Malagrotta) tra gli elettori democratici. Molto più di Stefano Fassina, il piano B dell’avvocato, secondo le stesse voci smentite al Dubbio dal diretto interessato. Ma una candidatura del medico tra le file grilline sarebbe clamorosa per lo stesso M5S che proprio sulla demonizzazione mediatica di Marino riuscì a conquistare prima visibilità e poi il Campidoglio. Resta indelebile nella memoria dei romani la campagna di linciaggio operata dai pentastellati contro il sindaco di allora, “colpevole” di parcheggiare, dietro indicazione prefettizia, la propria auto, una lussuosissima Panda rossa, presso il posto di guardia del Senato. Indimenticabile lo scatto poco istituzionale che ritrae gli allora consiglieri di opposizione Virginia Raggi, Daniele Frongia e Enrico Stefàno portare arance da “galeotto” in Consiglio. Per non parlare della macchina del fango messa in moto sulla “vicenda scontrini”, per la quale Marino finisce a processo: una serie di cene istituzionali pagate con la carta di credito del Comune. Tutto parte da un esposto presentato dal M5S e Fratelli d'Italia, prosegue con una pesante operazione di delegittimazione e finisce (parecchi anni dopo) con una piena assoluzione. Certo, del Movimento di allora che riempiva ancora le piazze sventolando manette e urlando «onestà» è rimasto ben poco, ma certe ferite sembrano difficili da rimarginare. Senza contare che una disce in campo di Marino tra i 5S rappresenterebbe la fine definitiva di ogni ipotesi seppur remota di ricostruzione del campo largo, anche solo in opposizione al governo Meloni. Sarebbe la certificazione del decesso dell’esperienza giallo-rossa, che però una parte di pentastellati, soprattutto in Regione Lazio, vorrebbe far rivivere, proseguendo il cammino mai interrotto nella Giunta Zingaretti, dove Roberta Lombardi occupa il posto di assessora alla Transizione ecologica. E forse anche per questo Conte si affretta a smentire categoricamente i ruomors. «Noi al nostro interno stiamo affinando quella che è la prospettiva regionale. Lo faremo, ovviamente, consapevoli del fatto che c’è un’esperienza in uscita di governo che si è rivelata positiva ma è anche vero che il contesto attuale è completamente cambiato», spiega l’ex premier grillino a Tpi, lasciando aperto uno spiraglio di dialogo col Pd. Anche se, aggiunge sibillino,«non possiamo non tener conto di tutte le vicende che sono successe negli ultimi mesi e comunque facciamo una riflessione interna sempre nell’interesse della comunità regionale e cercheremo di porre delle premesse per una proposta politica competitiva». E tenendo conto della rottura con Enrico Letta, avvenuta proprio negli ultimi mesi, la candidatura di Marino sarebbe un proposta politica molto più che competitiva.