PHOTO
Salvo improbabili chiarimenti risolutori dell'ultima ora, quella che si snoderà in Parlamento, ma soprattutto al Senato, sarà una complessa equazione a tre incognite. Le lacerazioni, le indecisioni e i tatticismi del M5S sono noti e così le perplessità e i dubbi non sciolti di Mario Draghi a fronte di un quadro politico che non si è riordinato nella misura da lui auspicata negli ultimi cinque giorni, a partire dalle dimissioni respinte. È però possibile che nella situazione più difficile e delicata si trovi oggi il centrodestra "di governo", dunque Lega e Forza Italia. Anche perché sarà influenzata a fondo dalle scelte a tutt'oggi ignote di Conte e inciderà a sua volta in maniera determinante su quelle di Draghi. Un labirinto costruito ad arte dall'intreccio dei vari e spudorati tatticismi.Entrambi i partiti maggiori della destra di governo si trovano in una situazione davvero complessa, con argomenti e pressioni pesanti su entrambi i piatti della bilancia. A partire dal più importante di tutti: votare ora significherebbe ipotecare in partenza il risultato del voto. Sull'altro piatto, però, pesa la convinzione di non poter apparire come chi ha deciso la crisi senza poi dover pagare un prezzo esoso anche con la propria base. Matteo Salvini, dopo l'incontro con i gruppi parlamentari di lunedì sera, ha visto i ministri e poi i governatori. I parlamentari premono in ampia maggioranza per le elezioni, i governatori, preoccupati più per le sorti delle aziende che nel nord sono da sempre la base solida del Carroccio, insistono per la scelta opposta. Salvini ha addirittura dovuto bloccare all'ultimo secondo un loro appello a Draghi che lo pregava di ripensare al gran passo. Anche i ministri sono contro la crisi ma con maggiore prudenza, consapevoli di quanto scivolosa sia la situazione. Subito dopo il capitano è a pranzo da Silvio Berlusconi, per un vertice senza la leader di FdI. Non che ci fosse bisogno della presenza in carne e ossa di Giorgia Meloni per sapere che FdI fortissimamente vuole il voto, anche se per la verità ci spera poco. I centristi della destra, sono invece una galassia schierata sul fronte della stabilità a tutti i costi e la posizione è condivisa da una parte del partito azzurro. I ministri, naturalmente, ma anche un martellante Gianni Letta.La posizione confermata della destra, in questo lacerato quadro, è quasi obbligata essendo l'unica che permette di scaricare su altri la responsabilità della crisi: governo sì ma senza i 5S o sarà la destra a provocare la crisi. Non è affatto una posizione lineare come sembra. La destra è pronta a sostenere il governo anche in caso di semplice appoggio esterno del M5S. Nulla però esclude l'ipotesi che oggi Giuseppe Conte scelga di votare la fiducia ma prenda tempo sul ritiro eventuale dei ministri, lasciando così la destra di fronte al bivio ma con gli occhi bendati.Anche nell'ipotesi più limpida, ove cioè Conte optasse addirittura per non votare la fiducia, il quadro non sarebbe affatto nitido. Certo, a quel punto la decisione politica sarebbe facile. Nel merito le cose sarebbero però meno facili. Draghi chiede di farla finita con i distinguo e la guerriglia interna. Significa, in concreto, che i due partiti della destra dovrebbero rassegnarsi a votare a delega fiscale con all'interno quella riforma del catasto che Berlusconi traduce in uno sbrigativo «le nuove tasse sulla casa». Né il Cavaliere né la Lega vogliono e neppure possono arrendersi su quel fronte, proprio come la Lega non può arretrare sul fronte dell'autonomia differenziata, pur sapendo che si tratta di una bomba deflagrante per la tenuta della maggioranza. Il paradosso è che su entrambi i fronti, ma in particolare su quello che più da vicino riguarda il governo, cioè la delega fiscale, decisivi per la linea di Draghi saranno proprio i voti di chi dovrebbe domani "strappare" o non votando la fiducia o ritirando i ministri, cioè del M5S. Una cosa è dunque già certa: comunque vada a finire oggi, Draghi non raggiungerà il suo obiettivo, quello cioè di un chiarimento tale da permettere al governo di navigare per 5 mesi, e forse per 8, al riparo dalle fibrillazioni e dai ricatti della maggioranza. Se deciderà di restare potrà fingere che il chiarimento ci sia almeno in parte stato ma sarà appunto una interpretazione diplomatica dei fatti. Se Draghi resterà premier a convincerlo non saranno certo stati i partiti della sua maggioranza.