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Il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi stringe la mano al leader di Italia viva Matteo Renzi
Intorno al tema nevralgico della giustizia si sta tessendo una tela destinata a creare grossi problemi alla presidente del Consiglio. Due giorni fa il Terzo Polo ha votato con la destra a favore del candidato della Lega Fabio Pinelli per la vicepresidenza del Csm. Il voto del consigliere in quota Azione non è stato determinante ma il segnale è suonato lo stesso molto forte e molto chiaro, tanto più in uno scontro al fotofinish e con la vicepresidenza dell'organo di autogoverno per la prima volta a portata di mano di un esponente della destra, che poi l’ha ottenuta.
La sera stessa il ddl sulla separazione delle carriere è stato presentato a Montecitorio dal responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, ex berlusconiano. L'appoggio di Forza Italia è certo e negli ultimi giorni il Cav ha ribadito più volte il sostegno azzurro a Nordio e la determinazione di Arcore nel procedere con una riforma sulla quale il resto della maggioranza, premier inclusa, preferirebbe di gran lunga frenare.
Però quella riforma rappresenta un impegno preso con Berlusconi, annunciato con gran fragore in campagna elettorale, confermato plasticamente e politicamente con la scelta di assegnare il ministero della Giustizia a Carlo Nordio. Rappresenta anche il ponte con il Terzo Polo, la cui prima dimostrazione di mirare al dialogo era stata proprio l'affermazione di condividere i contenuti della riforma annunciata da Nordio.
Per Giorgia Meloni il dialogo con Renzi e Calenda sulle riforme istituzionali, in particolare sul presidenzialismo, è importantissimo. Quella disponibilità a discutere di elezione diretta del presidente o del premier fa la differenza tra una riforma della Carta imposta brutalmente a maggioranza o una revisione della Costituzione concordata almeno con una parte dell'opposizione. Ma per il Terzo Polo la giustizia fa parte del pacchetto ed è anzi terreno privilegiato di possibile incontro ancor più della modifica della forma di governo.
La premier, si sa, si trova in un doppio guaio, quanto a impegni presi con gli alleati. La Lega preme sul fronte dell'autonomia differenziata, Fi su quello della Giustizia.
L'inquilina di palazzo Chigi non vuole esporsi né su un fronte né sull'altro ma tra i due esosi alleati che reclamano il prezzo pattuito del loro appoggio gli azzurri sono decisamente più temibili. Prima di tutto possono contare sul ministro competente, cosa che certo non si può dire a proposito di Raffaele Fitto in materia di autonomia. Ma soprattutto, a differenza della Lega, qualche possibilità di giocare su due tavoli ce l'hanno. Per Salvini rompere l'alleanza con la leader di FdI vorrebbe dire, al momento, trovarsi in un vicolo cieco.
Berlusconi può ragionevolmente pensare ad aggregarsi al Terzo Polo, che è già una presenza politica effettiva ma che, con l'aggiunta dei parlamentari (e dei voti) di Arcore s'imporrebbe come protagonista a pieno titolo dello scenario politico, occupandone il centro e in grado di giocare a piacimento con il forno del Pd o con quello della destra, FdI- Lega.
Che la tentazione serpeggi nella cerchia berlusconiana, a partire dalla capogruppo Licia Ronzulli, non è un mistero. Se la premier si rifiutasse di saldare il debito politico con la moneta della riforma della giustizia spingerebbe in modo forse decisivo Fi nelle braccia di Renzi e Calenda.
Giorgia Meloni lo sa ma sa anche che ingaggiare una guerra senza quartiere con la magistratura sarebbe pericolosissimo su molti e diversi fronti, come sa che la sua base elettorale è molto diversa da quella berlusconiana di un tempo. È una base che reclama legge e ordine e non va per il sottile quanto a garanzia. La Lega, inoltre, non ha perso tempo nello sfruttare la difficoltà di Giorgia spostandosi molto repentinamente a favore del colpo di freni sulla Giustizia. Senza contare che procedere con il presidenzialismo e la giustizia ma non sull'autonomia differenziata sarebbe una ferita destinata a non cicatrizzarsi mai più.
Renzi, che in questi giochi è un maestro, gioca una partita lucida. Sa perfettamente quanto la battaglia della giustizia possa rivelarsi destabilizzante. Versa benzina sul fuoco e, come sua abitudine, non nasconde l'obiettivo. Il governo, ha sempre detto, non cadrà. Non prima delle elezioni europee.