Alla fine, per paradosso, a difendere la linea del governo sulla giustizia resta solo il presidente uscente della Sardegna, Christian Solinas. È lui l’unico rimasto a recitare tutte le parti in commedia che avrebbero dovuto portare in scena i leader di una coalizione che si dice pronta a rivoluzionare il sistema giudiziario italiano: orgoglioso difensore delle garanzie, puntiglioso accusatore della giustizia a orologeria, sostenitore del primato della politica sugli altri poteri costituzionali.

Peccato che Solinas sia anche protagonista delle attenzioni della magistratura - che lo ha messo sotto indagine per corruzione - altrimenti sarebbe stato il candidato perfetto per ambire al posto di Carlo Nordio in un futuro governo di centrodestra. Invece - per quanto il presidente sardo uscente si sgoli giustamente per denunciare il «tempismo» dell’inchiesta e la pubblicazione di atti «che dovrebbero essere coperti dal segreto istruttorio» - Solinas è praticamente stato già scaricato da tutti. A cominciare dalla Lega, il “partito sponsor” che fino a poche ore fa insisteva per una ricandidatura del governatore alle elezioni di febbraio e adesso ha già praticamente ufficializzato l’ok a Paolo Truzzu, l’uomo di Fratelli d’Italia che Giorgia Meloni voleva comunque imporre agli alleati.

Se si esclude una dovuta quanto fugace difesa d’ufficio di Matteo Salvini, il Carroccio ha voltato le spalle al suo “cavallo” senza battere ciglio. E pensare che fino a due giorni fa Solinas era diventato moneta di scambio sonante tra la premier e il fu “capitano” per ottenere almeno il lasciapassare al “terzo mandato” (per Luca Zaia) in cambio dello scranno più alto dell’isola (da cedere a Fd’I). Ed è questo il secondo paradosso della vicenda. Perché se giustizia a orologeria c’è stata, ha agito solamente sul potere contrattuale del Carroccio. Nessun danno è stato arrecato alla coalizione di governo, che anzi proprio su Solinas rischiava di arenarsi. Per i fratelli d’Italia il tempismo della magistratura è stato un piccolo assist da cogliere al volo. E infatti al volo è stato colto. Da tutti.

Nemmeno un riflesso garantista involontario è scattato tra gli esponenti del centrodestra. Non un commento a difesa di Solinas si è sentito da parte della premier e dei suoi colonnelli. Persino Antonio Tajani, teoricamente portabandiera del garantismo in maggioranza, si è chiuso nel mutismo. A domanda sulle vicende giudiziarie sarde, il leader azzurro si è limitato a replicare: «Si troverà una soluzione positiva, siamo una coalizione che va avanti da 30 anni. La questione Sardegna sarà risolta». Punto.

E il processo mediatico? E le ingerenze delle toghe in politica? E la presunzione d’innocenza? Niente, nemmeno una parola. Non deve essere il momento giusto. Meglio tacere, soprattutto se in ballo ci sono questioni molto più concrete da affrontare: mantenere il potere nelle altre Regioni chiamate al voto nei prossimi mesi. Come la Basilicata, dove Forza Italia sogna di riuscire a frenare gli appetiti “riequilibratori” di Fratelli d’Italia, lasciando in sella Vito Bardi. Gli azzurri optano quindi per il basso profilo, evitando di ficcare il naso in Regioni politicamente lontane. Così come avevano fatto per tutto il tempo, del resto, lasciando che Salvini e Meloni battibeccassero tra loro senza infilarsi nella zuffa e rischiare di attirarsi le ire della nuova padrona di casa del centrodestra.

Un atteggiamento forse comprensibilmente pilatesco che però non è sfuggito agli alleati del Carroccio, che un minuto dopo aver scaricato Solinas hanno messo le mani avanti proprio sulla Basilicata: «Capisco e comprendo la posizione di Fd’I quando sostiene che in Sicilia il candidato presidente è stato anziché di Fd’I di Forza Italia. La Lega in Sardegna ha fatto uno sforzo per fare in modo che il centrodestra andasse unito», ha detto il vice segretario della Lega Andrea Crippa, «adesso c’è un altro partito che dovrebbe fare lo stesso sforzo, se vale la regola che contano le percentuali dei partiti, in questo momento la Lega è in credito». Tradotto: adesso toccherà a Forza Italia subire lo smacco dalla presidente del Consiglio e il Carroccio non muoverà un dito per impedirlo.

Al quartier generale azzurro decriptano immediatamente il messaggio di Crippa e il capogruppo alla Camera Paolo Barelli replica senza mezze misure: un passo indietro di Bardi in Basilicata? «Non esiste», ha tagliato corto il forzista. «Bardi fa solo passi avanti, si tratta di essere realisti. La cosa non è proprio in discussione. Lo ha detto anche Tajani».

E mentre i “partner minori” della coalizione cominciano a punzecchiarsi, Meloni punta a consolidare il suo potere “interno”, adeguandolo ai nuovi rapporti di forza. Il progetto è ambizioso e mira a inglobare persino roccaforti ritenute inviolabili come il Veneto, dove Zaia ha già raggiunto i limiti dei mandati. Per ora, a fare le spese di questa nuova strategia è stato Solinas, messo all’angolo da un’inchiesta giudiziaria senza che ai sedicenti garantisti della maggioranza sembrasse troppo strano. La real politik non guarda in faccia nessuno.