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La premier Giorgia Meloni
In Italia e in Europa uno dei problemi principali di Giorgia Meloni sono i suoi alleati, quelli un po' più sovranisti di lei, la Lega in patria, i Paesi di Visegrad ma anche la Finlandia ora governata da una destra molto rigida, in Europa. Per la presidente italiana uscire a testa alta sul capitolo immigrazione dall'ultimo Consiglio europeo prima della pausa estiva è fondamentale da ogni punto di visto. L'accordo trovato l' 8 giugno scorso nel Lussamburgo dai ministri degli Interni Ue soddisfa solo in parte le richieste italiane ma permette di vantare un passo avanti sulle ricollocazioni. Proprio quel passetto gli alleati sovranisti di Giorgia, Orbàn e Morawicki, hanno fatto e faranno il possibile per fermarlo. Mercoledì prossimo Meloni dovrebbe essere a Varsavia e sarà difficile far finta di niente dopo uno scontro come quello di questi giorni. C'è addirittura chi ipotizza uno spostamento molto diplomatico dell'imbarazzante appuntamento.
Con i polacchi, in compenso, la visione comune è totale per quanto riguarda la guerra: i due Paesi conservatori sono l'ala atlantista e filoucraina più radicale e impermeabile a ogni tentazione di trattativa senza che prima sia stata sancita sul campo la sconfitta della Russia. Con Orbàn, il gemello diverso, invece i ferri sono cortissimi anche in materia d'Ucraina: posizioni opposte e inconciliabili.
In Italia la Lega sta ben attenta a non tirare la corda sino al punto di romperla, ma per tirarla la tira eccome, occupando ogni volta che è possibile, come sulla riforma del Mes, la postazione dell'ala radicale e coerente con le promesse elettorali della maggioranza. Così facendo complica puntualmente la navigazione della presidente del consiglio.
La realtà è che tutti questi alleati, per una stella emergente nel firmamento della politica europea come Giorgia Meloni, sono necessari, perché in caso contrario per i suoi Conservatori non ci sarebbero margini di gioco politico, ma sono anche piombo nelle ali. Dal giorno di una incontestabile vittoria alle elezioni politiche, la leader di FdI si trova di fronte a un bivio e non osa incamminarsi con determinazione su nessuna delle due vie. Di certo non vuol ripetere l'errore di Salvini nel 2018- 19, quello di presentarsi come nemica dell'establishment europeo finendo così nel mirino di quello stesso potente establishment. Al contrario, si è proposta come la sola leader in grado di garantire l'adesione della destra italiana ai fondamentali della Nato e della Ue: guerra in Ucraina e rigore. Grazie a queste due svolte drastiche ha ottenuto in Europa un ascolto e un'apertura di credito senza paragone con la chiusura totale opposta ai ruggiti di Salvini. Però non è mai arrivata al punto di rinunciare agli slogan ipersovranisti. non ha mai denunciato e corretto apertamente le posizioni precedenti. Non ha mai osato avventurarsi in una sorta di Bad Godesberg di destra.
Sarebbero senza dubbio passaggi rischiosi. Si può capire che, forte di un consenso elettorale solido, la premier esiti a farli. In ballo tuttavia non c'è solo la maggiore o minore disponibilità che i grandi Paesi europei mostreranno nei confronti della “sua” Italia. C'è la possibilità di dare vita, per la prima volta, a un destra europea protagonista a pieno titolo, affrancata dal marchio di “underdog” che ancora grava sulle destre d'opposizione, come il Rassemblement National di Marine Le Pen, l'Afd tedesca e Vox in Spagna, ma anche sull'Ungheria di Orbàn e sulla Polonia.
In Italia le fortune, anzi le sfortune, elettorali della Lega dimostrano che il consenso di cui gode oggi la premier è dovuta solo in minima parte agli strilli da comizio e deve molto di più all'immagine di capo di una coalizione comunque solida e rassicurante che attrae l'elettorato moderato. In Europa il problema di uscire dal ghetto, missione per la quale in consenso elettorale è condizione necessaria ma non sufficiente, se lo dovranno porre tutte le formazioni a diverso titolo vicine a quelle della destra italiana.
Giorgia Meloni, nella fase che traversano l'Italia e l'Europa, ha l'opportunità e la possibilità di costruire in patria una destra liberale meno effimera e meno personalistica di quella di Berlusconi e, in Europa, di tenere a battesimo una destra conservatrice del tutto interna al gioco democratico dell'Unione, dal quale è stata sinora assente. Se lo farà o se proverà a farlo dipenderà in parte dalle sue capacità ma in parte anche maggiore dalla stoffa e dalla portata delle sue ambizioni politiche.