Giorgia Meloni ha due nemici temibili e non abbastanza temuti: la sua maggioranza e il governo che presiede. Non si allude alle classiche “divisioni della maggioranza” che pure ci sono ed erano del tutto prevedibili ma che sarebbero molto meno pericolose se non si miscelassero con la vera voce di massimo rischio: l'inesperienza. Il termine può essere sostituito da altre parole meno affilate: fretta e superficialità. Ma il risultato non cambia e la prima urgenza per la premier è trarre la sua compagine fuori da queste sabbie mobili prima che portino a fondo la credibilità del governo.

Il rischio di esercizio provvisorio, con tutto il danno d'immagine, sarà probabilmente sventato di un soffio, ma sta di fatto che quel rischio è del tutto concreto. La manovra sarebbe dovuta arrivare in aula, già in zona Cesarini, martedì. Una lunghissima trattativa su minuzie di scarso peso e nessuna importanza strategica hanno costretto a 24 ore di rinvio. Solo che nel frattempo la commissione Bilancio aveva votato un emendamento senza copertura e si è reso necessario tornare in Commissione posticipando per l'ennesima volta l'approdo in aula.

Il fatto è clamoroso perché l'emendamento stanziava per i Comuni 450 miliardi di euro avendone a disposizione 200 per l'intero pacchetto. Insomma non proprio un particolare di quelli che inevitabilmente sfuggono alla vista.

Ma l'emendamento incriminato non era l'unico: ce n'erano più o meno altri 45 nelle stesse condizioni. Così la riunione della commissione riconvocata per l'emendamento scoperto sui comuni è slittata per decidere come risolvere l'altra quarantina e passa di problemi.

In questa situazione l'opposizione avrebbe gioco facilissimo nell'allungare le cose fino a rendere inevitabile l'esercizio provvisorio. Non lo farà, anche per non fornire alla destra un argomento di facile propaganda, l'accusa di “sfascismo”. Cercherà invece la vittoria in aula sul dl Rave, a sua volta non precisamente un modello di efficienza che il governo ha dovuto riscrivere al 90 per cento essendo letteralmente impresentabile e anche così si è salvato dall'emendamento totalmente abrogativo, in Commissione, solo per due voti. Ma resta il fatto che la possibilità di evitare l'esercizio provvisorio dipende tutta dal fair play dell'opposizione.

Del resto anche così il rischio del crollo si era presentato: colpa di quell'emendamento sullo scudo penale per gli evasori che avrebbe costretto l'opposizione all'ostruzionismo. Ma che in una situazione così a rischio possa spuntare un emendamento bomba come quello sullo scudo penale, senza che il ministro dell'Economia e la premier ne sapessero niente nonostante a firmarlo fosse non l'ultimo arrivato ma un viceministro come Sisto dice tutto.

In tutta evidenza si sommano e si potenziano vicendevolmente due elementi diversi. Il primo è il pressapochismo di un apparato inesperto che però la premier, troppo impegnata nel negare i limiti della sua classe dirigente, non ha mai neppure cercato di affrontare. Il secondo è la necessità di tenere a bada le diverse forze della maggioranza con provvedimenti, spesso di bandiera, che si rivelano poi frettolosi e insostenibili, oppure i colpi di testa dei partiti alleati, che portano a incidenti comunque incresciosi e potenzialmente pericolosi come quello sullo scudo penale.

Nel giro di non molto tempo, la somma di questi due problemi intrecciati può rivelarsi esiziale. Nulla allontana un elettorato poco fidelizzato come quello italiano più della sensazione di essere in mano a un governo incapace. Lo scontro politico anche a base di accuse stentoree e roboanti fa ormai parte della quotidianità politica, in Italia. Non è su quel fronte che si erode rapidamente il consenso. L'inefficienza conclamata, invece, può rivelarsi micidiale, tanto più di fronte a situazioni urgenti come l'implementazione del Pnrr e la crisi energetica.

La situazione, anche in virtù dell'inconsistenza delle opposizioni divise, non è affatto irrecuperabile e senza dubbio la fretta dovuta alle inedite elezioni settembrine e il nervosismo provocato da sentirsi sotto il controllo di un'Europa diffidente hanno amplificato i problemi. Ma per risolverli in tempo, Meloni dovrebbe decidersi a smettere di accumulare polvere sotto il tappetto esaltando una capacità della sua classe dirigente in realtà inesistente e affrontare subito, prima che sia troppo tardi, i problemi della sua maggioranza, invece di far finta che non esistano.