Più che un'organizzazione politica ricordava una camicia di forza. Il privato, in nome della "morale comunista", era sottoposto a rigido controllo e ancor più rigide censure: non sia mai che si scivolasse nella decadenza piccolo borghese cedendo alle sirene corrotte dell'infedeltà.

Il processo popolare, la condanna a un percorso di "rieducazione proletaria" e spesso l'espulsione scattavano automaticamente. La vigilanza sul portafogli era anche più occhiuta: la maggior parte degli introiti doveva essere passata senza indugio al partito, e in alcuni casi detti introiti erano cospicui dal momento che tra gli iscritti figuravano attori come Gian Maria Volontè e Lou Castel e registi come Marchio Bellocchio.

Era l'Unione dei comunisti italiani marxisti- leninisti, poi Partito comunista (m- l) l'ultimo e il principale tra i gruppi e partitini filocinesi che si erano moltiplicati nell'Italia degli anni ' 60. Quando l'oriente era rosso e le guardie rosse della rivoluzione culturale cinese sembravano a molti il nuovo sole dell'avvenire. Quando l'insulto peggiore, per i giovani che facevano politica nella sinistra estrema, era "revisionista".

A fondare l'Unione era stato nell'ottobre 1968 Aldo Brandirali, già leader di una formazione trotzkista, Falce e Martello, passata allo stalinismo puro e duro. Il nuovo gruppo, il primo tra quelli nati dalle lotte studentesche del ' 68 e operaie del ' 69, ebbe subito successo tra i giovani che avevano incendiato le università nell'inverno e nella primavera precedenti. Debuttarono in piazza in occasione dello sciopero generale del 5 dicembre 1968 puntando su una coreografia da regimi totalitari per l'epoca davvero curata meticolosamente.

In mezzo al tipico caos delle manifestazioni di piazza sfilarono in ranghi compatti e ordinati, ognuno col suo bravo manifesto del presidente Mao corredato dallo slogan "Servire il popolo", come si sarebbero poi chiamati sia il giornale del gruppo che la casa editrice fondata dal "partito".

I ragazzi dell'Unione si prendevano estremamente sul serio. I bambini figli delle coppie marxiste- leniniste (con matrimoni a volte celebrati dal funzionario di partito di turno) erano inquadrati nei "Pionieri", per poi salire con l'età alle giovani Guardie, i gruppi combattenti "Stalin", la lega delle donne rivoluzionarie.

Si fecero le ossa in gruppo, oggi vissuto con una certa vergogna retrospettiva, un bel po' di nomi celebri: Michele Santoro, Antonio Polito, Renato Mannheimer, il compianto giornalista Gianni Pennacchi (che contrasse pure un matrimonio proletario), la sorella Laura, futura sottosegretaria e dirigente dei Ds e il fratello Antonio, scrittore che ha raccontato un po' la storia nel suo Il fasciocomunista.

Laura Pennacchi non è la sola dirigente della filiera Pds- Ds- Pd abituata da giovane a circolare col distintivo del presidente Mao: militavano nell'Unione, tra gli altri, Nicola Latorre e Barbara Pollastrini. Ma erano maoisti convinti anche Edoardo Sanguineti, Grazia Cherchi, Edoarda Masi, Sergio Cusani.

I distintivi del grande timoniere e l'immancabile "Libretto rosso", del resto, in quell'ultimo scorcio di anni ' 60 tra i giovani e giovanissimi militanti andavano a ruba. A Roma, in mancanza di ambasciata della Cina popolare non ancora riconosciuta, si andava nel centro culturale cinese, in una delle più eleganti vie dei Parioli, e i funzionari distribuivano, cortesi e solerti, materiale di propaganda a man bassa, In realtà l'innamoramento per la Cina rivoluzionaria, dove "il revisionismo" era stato respinto, datava dall'inizio del decennio, in realtà da prima della rottura definitiva tra Urss e Cina, anticipata del resto proprio da due celebri attacchi al Pci italiano usciti sul Rènmin Ribào, il quotidiano del Partito comunista cinese, "Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi".

I cinesi attaccavano il leader del Pci, che rispose con un suo articolo, per colpire l'Urss ma in Italia, proprio tra quei militanti scontenti della linea troppo morbida del partitone italiano, alcuni guardavano già a Pechino come al nuovo centro della rivoluzione mondiale. La prima pubblicazione filocinese, il giornale Viva il leninismo, esce a Padova nel settembre 1962, un anno prima della rottura tra Mosca e Pechino. Nel ' 64, a lacerazione consumata partì la pubblicazione di Nuova Unità, con vicedirettore Ludovico Geymonat.

La storia delle organizzazioni filocinesi è storia di scomuniche, espulsioni, divisioni. Impossibile, anzi di micidiale noia, seguire nel dettaglio ogni percorso, ogni intreccio, ogni scomposizione e ricomposizione. Il Movimento marxista- leninista che era nato dall'esperienza padovana si divise ben presto con la scissione della Lega dei comunisti marxisti- leninisti, che si dotò anche di un giornale, Il Comunista, abituato a mitragliare la gemella diversa di Nuova Unità.

Passando per il gruppo del manifesto la Lega sarebbe rientrata nel Pci qualche anno dopo. Il caso più clamoroso fu quello del PdC'I (m- L), nato intorno alla nuova serie di Nuova Unità, la principale organizzazione filocinese prima dell'Unione, l'unica a essere ricevuta con tutti gli onori a Pechino e a essere ufficialmente legittimata da Mao in persona. Si spaccò in nel ' 68, in una rissa a colpi di "Smascherata e sconfitta la linea nera neorevisionista" da un lato e "Sventata una manovra imbastita da revisionisti, krusceviani e trotzkisti" dall'altro. Per un po' ci furono due PdC'I quello "linea nera", riconosciuto dalla Cina, e quello "linea rossa".

Ma nel frattempo era stata lanciata dal Timoniere la Rivoluzione culturale, nel ' 66, e la Cina non era più interesse solo di piccoli gruppi di militanti impegnati a cacciarsi a vicenda. Nel ' 67 due film, La Cina è vicina di Bellocchio e La cinese di Godard misero l'astro rosso nascente al centro di ogni dibattito. Poi col ' 68 la tendenza dilagò. I libri di Edagrd Snow sulla rivoluzione cinese e quelli della sinologa Edoarda Masi campeggiavano in ogni libreria.

Per un po' l'Unione fu egemone nel Movimento ma durò poco, ma ormai maoisti nell'estrema sinistra lo erano un po' tutti. Era troppo asfissiante e ci volle poco perché iniziasse la giostra delle espulsioni, con la cacciata del dirigente più lucido e intelligente, Luca Meldolesi, a opera di Brandirali, destinato a un futuro come esponente di Comunione e Liberazione e poi assessore a Milano con Forza Italia.

L'Unione fu una meteora e durò poco ma ormai anche al di fuori dell'affollatissima galassia marxista- leninista maoisti, nell'estrema sinistra, lo erano un po' tutti. La Cina era vicina e grazie alla via della seta lo è di nuovo. Certo, non è la stessa Cina.