Per ricreare il clima della Repubblica di Weimar i produttori della serie Babylon Berlin hanno spesso fior di milioni. Pivelli. In Italia ci riusciamo meglio e spendendo quattro soldi, con l’ulteriore vantaggio che qui non squaderniamo solo fiction ma creiamo un intreccio inestricabile con la realtà: al punto che distinguere i due piani è impresa proibitiva.

Un gruppetto esiguo di scervellati con testa rasata e la camicia in tinta orbace legge un proclama a Como, poi sparacchia alla cieca qualche lacrimogeno sotto la sede di Repubblica.

Sarebbe più che altro roba da ricovero coatto, invece pare che al confronto gli assalti all’Avanti! del 1919 e del 1922 fossero goliardate. Il quotidiano offeso strapazza a piacimento i dati di un sondaggio e annuncia che un italiano su due teme il ritorno delle camicie nere: Marcia su Roma parte seconda in uscita nelle sale per Natale, a fianco di Guerre Stellari 8. A Como le forze antifasciste manifestano con il dovuto allarme contro le risorte squadracce e il Pd cavalca l’ondata resistenziale, con toni più appropriati alla situazione di Stalingrado 1942 che a quelli di Como 2017, per motivi sin troppo ovvi. Scoperto sul fianco sinistro, tanto più dopo la débacle di Pisapia, il Nazareno si affida al tema che da sempre garantisce la massima presa emotiva su quel fronte. E se di fascisti propriamente detti nella penisola ce ne sono pochini non importa. L’importante è evocare l’onnipresente rischio.

Per lo stesso motivo il segretario del Pd bersaglia Grasso e Boldrini accostandoli alla figura di Gianfranco Fini, presidente della camera e capopartito: «Sono sulle sue orme». Per la verità anche su quelle di Pier Casini e Fausto Bertinotti e prima ancora di Irene Pivetti. Nell’Italia della Seconda Repubblica l’impegno politico e il ruolo istituzionale non sono mai stati incompatibili, ma tant’è.

Se Renzi le dà di santa ragione anche a costo di picchiare a casaccio, le prende anche con la stessa logica. M5S martella sulle banche: l’accusa di ladrocinio non è esplicita poco ci manca e comunque tutti capiscono l’antifona.

Salvini non ha di queste sottigliezze: «Metteremo in galera i complici di queste truffe. Secondo Renzi il Pd può andare a testa alta? Vuol dire che pagheranno a testa alta». Il meno greve, secondo il nuovo corso moderatissimo inaugurato per l’occasione, è Silvio Berlusconi. Si limita ad accusare l’ex socio del Nazareno di totale inettitudine. La replica è sullo stesso piano: «Non faremo mai governi con mr. Spread- Berlusconi». Come dire: «Facciamo a chi è più capra?».

Metà almeno della campagna elettorale già si gioca sul tema eterno del voto utile, ché è sempre meglio chiedere il voto contro qualcuno che per qualcosa. Berlusconi vuole i voti perché, parola sua, «Siamo gli unici che possano fermare M5S». Renzi restituisce con gli interessi: «La sfida è tra noi e M5S». Senza dimenticare che tuttavia la destra ancora esiste e anzi capita che sia in testa alla corsa nei sondaggi: «Ogni voto a LiberiEuguali è un voto regalato alla destra. Noi combatteremo casa per casa». Stalingrado, appunto...

Si aggiunga una spruzzata abbondante di ambiguità. Berlusconi spiega al colto e all’inclita che il Vallo anti- populismo è stato eretto ad Arcore. Però il suo principale alleato, Matteo Salvini, è anche il principale rappresentante del demoniaco «populismo» di cui sopra. Particolari ininfluenti. Renzi non è da meno con la sua promessa di non allearsi in nessun caso con Berlusconi, nonostante il progetto sia praticamente di dominio pubblico. La lista ormai ufficialmente ' di Piero Grasso' civetta con i 5S ma strizza l’occhio anche al Pd, ove dovesse liberarsi dell’aborrito Renzi. Leghisti e pentastellati ringhiano al solo sentirsi nominare ma in privato non mettono limiti alla provvidenza.

Per afferrare in pieno il quadro occorre infine guardare quel palco da campagna appena camuffato che è la commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche, convocata improvvidamente a un centimetro dall’apertura delle urne. M5S la usa per processare Renzi e il suo governo. Renzi stesso la adopera nella speranza di mettere al muro le istituzioni di sorveglianza bancaria, Consob e a maggior ragione Bankitalia, le quali a loro volta si scannano accollandosi reciprocamente svariate colpe. Tutti, poi, martellano sulle banche venete, in modo che sul banco degli imputati finisca anche la destra. Per comprensibile equanimità.

E’ campagna elettorale e si sa che in Italia l’iperbole in questi frangenti è pane quotidiano. Da noi all’accusa di incarnare il nuovo duce, da Craxi a Berlusconi a Renzi, non è sfuggito quasi nessuno e persino il pacioso Romano Prodi fu accusato a suo tempo di stare edificando addirittura ' un regime'. Il punto dolente è che le parole dette in campagna elettorale, se non sono pietre, non sono però neppure piume. Insistere nel dipingere una situazione weimariana, con le forze politiche impegnate nel delegittimarsi reciprocamente non per le politiche che propongono ma per la loro identità e nel descrivere una Repubblica minacciata da forze oscure, rischia di creare il clima adatto perché quelle profezie sinistre si realizzino davvero.