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All'improvviso la strada che sembrava sbarrata senza alcuno spiraglio appare, se non proprio sgombra, almeno faticosamente percorribile. Se Dario Parrini e Roberto Calderoli, cioè Pd e Lega, mettono mano insieme a un progetto di riforma elettorale vuol dire che qualche possibilità, anche se molto esile, c'è. Certo, si parla della stessa Lega il cui leader assicura di fronte ai parlamentari di non essere interessato a faccende secondarie come la legge elettorale e dello stesso Pd che disconosce la paternità della bozza in questione. Ma queste sono parole e nella politica italiana pesano meno delle piume.
Parlare di progetto per il momento sembra comunque azzardato. Lo scheletro della legge sulla quale starebbero lavorando i due partiti prevede il voto proporzionale accompagnato però da un premio di maggioranza che salverebbe le coalizioni rendendole comunque necessarie. Restano indefiniti un paio di particolari: la soglia di sbarramento, cioè lo scoglio contro il quale hanno sbattuto nella prima fase del governo giallorosso i peraltro molto flebili tentativi di varare una legge proporzionale; la quantificazione del premio, che deve essere ben calibrato per evitare l'ennesimo affondamento da parte della Corte costituzionale; la soglia da raggiungere per aggiudicarsi il premio, che pare oscillare tra il 40 e il 45 per cento. Non è la stessa cosa: il 5 per cento in più o in meno fa una differenza enorme.
Tra i vantaggi bipartisan della riforma c'è l'assolvere entrambe le coalizioni, posto che tra 8 o 9 mesi esistano ancora, dall'obbligo di ripartire tra le varie forze i seggi oggi in ballo col maggioritario. Dati i rapporti che corrono tra i sedicenti alleati molti temono e profetizzano che su quella trattativa scorrerà sangue a fiumi, per la delizia del pubblico votante, e si capisce perché tutti preferiscano evitare il poco commendevole spettacolo. Non è chiaro però come si farà a evitare che il problemaccio, uscito dalla porta con la sepoltura del Rosatellum, non rientri dalla finestra del premio di maggioranza, dal momento che anche lì una ripartizione sarà necessaria.
Ma questo è il meno. I punti spinosi sono altri: uno riguarda gli equilibri tra le forze politiche, l'altro, più grave, l'eterna incapacità italiana di decidere quale tipo di democrazia vuole essere. Sul piano politico la legge fa comodo al Pd. Non scioglierebbe il nodo che si è stretto intorno alle intemerate dell'alleato Giuseppe Conte. Se prima o poi l'avvocato deciderà di passare dalle parole ai fatti il problema di non potersi coalizzare con chi ha osato mettere in difficoltà il governo Draghi si ripresenterà per intero. In compenso una eventuale sconfitta sarebbe molto meno pesante che con l'attuale sistema. Ma l'interesse della Lega, dal cui pollice all'insù o all'ingiù dipende tutto, quale sarebbe? Il rapporto con la lanciatissima FdI sarebbe meno stretto, i legami più laschi, minori le possibilità per Giorgia di far pesare il suo previsto vantaggio nelle urne col ruvido stile Brenno che le è proprio. L'ambiguità di una scelta che avvantaggerebbe un partito avversario per indebolire quello alleato è però non solo vistosa ma anche stridente. È tutta interna alla logica impazzita del sistema politico dispiegatasi in una legislatura surreale ma che non ha affatto esaurito le possibilità di fare danno.
All'origine, veicolato dalle leggi elettorali e testimoniato dall'impossibilità di dotare il Paese di una vera e compiuta regola elettorale da oltre 16 anni, c'è l'incapacità di scegliere non solo una norma elettorale ma un modello di democrazia e poi perseguirlo. Il proporzionale accompagnato dal premio di maggioranza è l'espediente studiato per mantenere in vita quell'ambiguità senza dover optare per un vero sistema maggioritario, al quale il vituperato Mattarellum si era almeno avvicinato, oppure per un ritorno al proporzionale sincero: cioè per il recupero di un sistema che non impone alleanze coatte prima del voto e permette ai partiti di stringerle invece a urne chiuse, trattando sulla base della forza assegnata a ciascuno dagli elettori e della possibilità di mettere a punto un programma di mediazione comune. È molto dubbio quanto possa essere utile a risolvere la crisi italiana una eventuale legge elettorale tutta orientata dall'interesse a breve delle singole forze politiche e per nulla dalla necessità di uscire dall'ambiguità che perseguita la politica in Italia da decenni.