Per Giorgia Meloni era una battaglia su più fronti: tre, senza contare le elezioni amministrative, che sono un altro tavolo, e la prova delle preferenze, il cui esito era scontato in partenza. C'è Giorgia la capopartito, Giorgia la premier, e Giorgia la leader dell'eurogruppo Ecr, i Conservatori. Col margine di incertezza dovuto a exit poll prudenti, con forbice larghissima, sembra potersi dire che alla capopartito è andata bene, alla premier anche meglio, mentre sul fronte europeo la situazione è incerta nonostante l'avanzata massiccia della destra e forse anzi proprio a causa di quell'avanzata.

Quando si è candidata Meloni sperava in qualcosa in più ma nell'ultimo scorcio di campagna elettorale i sondaggi e il fiuto politico le avevano fatto temere molto di meno. Se fosse scesa sotto il 26% raggiunto due anni fa alle politiche il segnale sarebbe stato esiziale e la presidente del consiglio si sarebbe ritrovata molto più indebolita di quanto le cifre non dicessero. Non è andata così.

La premier e leader della coalizione invece ha tutti i motivi di brindare. La destra è più forte di due anni fa. Il suo primato è incontestato e incontestabile: sopravanza gli alleati di troppe lunghezze per non essere più che blindata. Ma c'è di più e di meglio: l'affermazione di Fi è un punto a suo favore. Il partito azzurro, soprattutto nella reincarnazione molto moderata, decisamente neodemocristiana dovuta alla leadership Tajani, è un alleato prezioso. Pesca in una fascia di elettorato che, senza gli azzurri, sarebbe precluso alla destra. Ma la Lega non è crollata e anche questo è motivo di rassicurazione. Una Lega in fase di disfacimento sarebbe diventata imprevedibile e incontrollabile, con un Salvini pronto a tutto per salvarsi. La Lega al vincola il Carroccio alla coalizione e alla sua leader incontrastata. Salvini, che con questi numeri ha le carte per restare alla guida del Carroccio, continuerà a scalciare e a strillare. Ma senza mai andare oltre.

Sul fronte europeo, tutt'altro che secondario anzi centralissimo se si tiene conto di quanto Meloni ci si è dedicata da quanto ha vinto le elezioni in Italia, l'orizzonte è meno roseo. Nonostante la mazzata durissima che gli elettori hanno inferto ai socialdemocratici e ai liberali, la maggioranza Ursula avrà i numeri per riformarsi senza dover ricorrere al soccorso della destra, cioè soprattutto di FdI. Assediati e sul punto di essere espugnati, i socialisti e i liberali terranno probabilmente duro nel chiedere il cordone sanitario per escludere ogni destra dalla nuova maggioranza. Meloni rischia di restare fuori dalla maggioranza, che in Europa significa solo l'area che vota il presidente della Commissione europea, o di entrarci di straforo, come ospite non invitata né gradita.

Ma i giochi in Europa sono più complessi, passano per la decisione del Consiglio europeo, il summit dei capi di governo incaricato di indicare la presidenza della Commissione, prima e più che per il voto dell'europarlamento, che sarà chiamato a esprimersi sulla candidatura scelta dal Consiglio. I leader che danno le carte nel Consiglio, Macron e Scholz, escono a pezzi da queste elezioni e non è affatto detto che possano fare a meno della premier del terzo Paese dell'Unione, l'unico capo di governo a uscire vincente dalla prova. In Europa Meloni italiana ha dunque molte carte da giocare ma in una partita che non sarà affatto facile.