Complice il passo da lumaca dello spoglio dei voti, all'imbrunire i papabili futuri governatori della Sardegna sono ancora testa a testa. Il campione del centrodestra, Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, conduce per un paio di punti percentuali. Eppure nei quartier generali del Pd e dei 5S il morale è alto, in quelli del centrodestra i musi sono lunghi e lo staff di Truzzu dava la partita per persa già da ore.

Manca all'appello il voto delle città e lì Todde, la pentastellata in nome della quale si è cementata la prima vera alleanza Pd-M5S sembra in testa di molte lunghezze. Per Giorgia Meloni si profila una mazzata di quelle che fanno male ed è la seconda in pochi giorni. L'intervento del Colle sulle cariche a Pisa e Firenze è stato una doccia gelata. Resa edotta dalla disastrosa esperienza del governo gialloverde la premier era partita con una stella polare ben chiara, a orientarne la rotta: evitare per quanto possibile e magari anche oltre ogni frizione con il capo dello Stato.

Mattarella, del resto, per quanto notoriamente non apprezzi certo un governo di destra più che di centrodestra, ha adottato la medesima logica: intervenire il meno possibile e solo quando davvero necessario. A sorpresa ha considerato urgente farlo in un'occasione all'apparenza minore: qualche maganellata di troppo. Un fattaccio certo esecrabile ma che neppure sfiora alla lontanissima la turpe mattanza di Genova. In tutta evidenza, dunque, il presidente ha voluto lanciare un monito che va ben oltre l'occasione spcifica e chiama in causa tutte le pulsioni non solo securitarie ma apertamente repressive del governo Meloni. Dunque non un appunto circoscritto ma una bacchettata che colpisce uno degli elementi chiave nel dna della premier, del suo governo, della sua maggioranza.

La batosta sarda, se sarà confermata dai risultati definitivi, è anche peggiore. La premier ha sfidato la Lega e irritato più di come non si poteva l'alleato numero uno impugnando l'impopolarità del governatore uscente, Christian Solinas, l'uomo del Psdaz e dunque della Lega nell'isola. E' stata una decisione d'autorità, imposta per siglare il comando della leader del partito più forte e presidente del consiglio sugli alleati, però contando su un alibi robusto. L'impopolarità di Solinas non era un'invenzione di Giorgia. Solo che dovendolo sostituire la premier ha ragionato, come spesso le capita, soprattutto da capofazione, da leader di partito, e ha fatto prevalere i vincoli dell'underdog, la fedeltà ai “vecchi camerati” sulla lucidità politica. In concreto: ha sbagliato candidato. Ha scelto un sindaco tra i meno popolari d'Italia, punito prima di tutti proprio dalla sua città dove Todde sembra destinata a sopravanzarlo di parecchie misure.

I tre leader si sono visti a pranzo e pare che il clima fosse proprio rilassato, persino ridanciano. Insomma, per ora Salvini non sembra intenzionato a presentare all'alleata, anzi “all'amica”, il conto per il blitz che ha defenestrato Solinas. Se Truzzu sarà davvero sconfitto inevitabilmente il leghista affilerà il coltello, quel conto lo presenterà. Ma neppure lui può alzare troppo la voce perché il risultato sardo, che non sarebbe soddisfacente neppure qualora la destra strappasse al fotofinish una gara che sembra vinta in partenza, è una coproduzione tra la scelta sbagliata della premier e il governo sbagliato di Solinas. Insomma, una vittoria non sarebbe pienamente tale, una sconfitta sì e amplificata al massimo dalle circostanze e dalla contemporaneità con il monito sonoro di Sergio Mattarella.

Per la premier dovrebbe essere un campanello d'allarme quasi assordante. Da almeno un decennio l'elettorato italiano passa da un voto all'altro con la rapidità di una falena impazzita. Sia pure con slittamenti significativi, nell'era Berlusconi-Prodi qualcosa della fidelizzazione dell'elettorato che aveva caratterizzato la prima Repubblica era rimasto. Ora non più. Entrambe le aree maggiori dispongono di un elettorato fidelizzato ma in mezzo c'è un'enorme massa di astensionismo, spesso formata da elettori delusi dalla propria area di riferimento, in cerca di alternative. A decidere la vittoria è la capacità non solo di conquistare ma anche di conservare una parte rilevante di quell'area. Non c'è riuscito Renzi, non c'è riuscito Salvini, c'è riuscito solo in parte il M5S ma solo passando per una mutazione genetica che ha reso il Movimento di Grillo e Casaleggio nel partito di Conte. Proprio la velocità con la quale quell'elettorato “in cerca di autore” si sposta fa sì che tra i primi scricchiolii e la slavina passi spesso un attimo. Comunque finisca nell'isola di quegli scriccholli, che già ci sono, la premier farebbe bene a tenere il debito conto. La reazione stizzita alla critica di Mattarella non sembra, e non è, un passo nella direzione giusta e più accorta.