PER CENTRARE L’OBIETTIVO, LA LEADER DI FDI PROVERÀ AD AVVALERSI DELLA COLLABORAZIONE DEI CENTRISTI

La premier batterà la strada delle riforme che saranno una rete di protezione per il suo governo

Alla vigilia del dibattito sulla fiducia molti si chiedevano quanto sul serio andasse preso l'annuncio di una riforma presidenzialista pronunciato in campagna elettorale da Giorgia Meloni. I due giorni di dibattito hanno dissipato dubbi e chiarito il quadro abbastanza nitidamente. Quelle della premier non erano affatto tipiche “promesse elettorali”. Batterà certamente la strada della riforma istituzionale, sia perché ci crede ed è decisa a dimostrarsi quanto più operativa possibile sia perché, una volta avviati i lavori parlamentari, la riforma sarà la miglior rete di protezione possibile per il suo governo, almeno fino al suo varo effettivo, dunque per almeno tre anni. È utile ricordare che la stessa bicamerale D'Alema era stata pensata e proposta dall'allora segretario del Pds, negli anni ' 90, anche con l'obiettivo dichiarato di «creare una camera di compensazione» a protezione del governo Prodi.

Gli interventi dei leader hanno anche squadernato la disposizione delle forze in campo. La maggioranza sarà coesa ma la leader tricolore dovrà pagare agli alleati il loro prezzo: certamente l'autonomia differenziata alla Lega, probabilmente la riforma della Giustizia a Fi. I centristi saranno dialoganti e pronti a cercare una riforma condivisa, come Renzi aveva del resto già annunciato in campagna elettorale, quando aveva di fatto dichiarato la sua disponibilità a un'elezione diretta se non del presidente della Repubblica almeno del capo del governo. Le altre opposizioni sono invece al momento decise a contrastare la riforma strenuamente. Non essendo possibile affondarla in Parlamento, significa fare del referendum confermativo, se sarà necessario, il campo di battaglia per una sfida finale e decisiva con la destra.

È quasi certo che il M5S manterrà questa posizione comunque, essendo lo schieramento a difesa della Carta intonsa funzionale alla strategia di Conte che mira a imporsi come vero leader e rappresentante del “popolo di sinistra”. Qualche dubbio lo si può invece nutrire sul Pd, che si presenterà all'appuntamento dopo un Congresso comunque importantissimo e con un nuovo segretario. Senza dimenticare che il semipresidenzialismo alla francese era la proposta dell'allora Pds ai tempi della bicamerale e proprio quella formula ha citato la presidente del consiglio in aula. Anche qui, però, di dubbi ce ne sono molti. Adottare globalmente il sistema francese, con il doppio turno e il ballottaggio tra i due candidati meglio piazzati, sarebbe per la destra suicida. Lo sa bene Marine Le Pen per esperienza diretta ma lo sa anche Giorgia Meloni e non è facile che faccia un simile regalo al centrosinistra.

Lo strumento col quale la riforma verrà messa a punto non è ancora stato definito ma le alternative si riducono a due: una bicamerale, sul modello di quella degli anni ' 90, o le commissioni Affari costituzionali congiunte delle due Camere. La prima opzione sarebbe senza dubbio più solenne ma anche più lenta ed esposta a tranelli e inciampi mentre l'intenzione della leader tricolore è procedere spedita. Il punto fermo principale lo ha però già definito nel dibattito: disponibilità al dialogo sì ma senza poteri di veto. In mancanza di un accordo, che data la linea di Pd e M5S è al momento impossibile, la maggioranza procederà comunque. Ma la sponda dei centristi e quella della Sudtiroler probabilmente ci sarà. Il punto chiave è se un'intesa anche senza le due principali forze d'opposizione permetterà di raggiungere i due terzi del Parlamento, evitando così il referendum confermativo, oppure no.

Se il referendum sarà necessario per la destra e in particolare per la sua leader sarà un rischio, come dimostra il caso esemplare del referendum sulla riforma Renzi. Ma sarà un rischio anche maggiore per il fronte opposto. È vero che gli italiani in materia di Costituzione sono conservatori e lo hanno già dimostrato, ma è altrettanto vero che sarà molto difficile respingere un quesito che suonerà così: “Volete scegliere voi chi vi governerà o preferite lasciare il compito alle segreterie di partito e ai capicorrente?”. Certo, la disposizione dell'elettorato potrebbe mutare se a questo quesito si affiancasse quello sull'autonomia differenziata, assai meno popolare almeno da Roma in giù ma in compenso apprezzato anche dal Pd nel nord e al centro, ma nel complesso si tratterà di una sfida referendaria molto difficile se non proibitiva per il partito del no. Tanto da rendere sconsigliabile puntarci troppo come vorrebbe invece fare Enrico Letta: referendum per referendum rischia di finire come quello sulla scala mobile del 1984.