Il paragone, apertamente, nei palazzi non lo fa nessuno. Proprio perché talmente evidente da imporre un certo tasso di scaramanzia. Il guaio della prescrizione somiglia come una goccia d'acqua tinta in giallorosa del disastro Tav, quello che portò alla fine del governo gialloverde. Si profila infatti di nuovo lo spettro della clamorosa spaccatura in aula su una vicenda centrale sia per la sua effettiva e importanza sia per la valenza simbolica che ha assunto. Anche stavolta, come nel voto di agosto sulla Tav, nulla obbligherebbe la maggioranza a dissolversi anche in caso di voto contrapposto in Parlamento. Però è evidente che la ricaduta della divisione sulla tenuta del governo sarebbe travolgente. Forse non porterebbe alla crisi subito, come avvenne nel caso della Tav, però avvierebbe il conto alla rovescia.In entrambi i casi, alle origini del possibile disastro c'è il modus operandi di Giuseppe Conte: l'abitudine a puntare sul rinvio nella speranza che il tempo s'incarichi di sciogliere nodi troppo aggrovigliati, di quadrare il cerchio e operare il miracolo. A volte succede davvero, ma in caso contrario il problema finisce per risultare sia ingigantito che insolubile. E' successo col governo precedente sulla Tav, può succedere di nuovo sulla prescrizione.Come sempre in questi casi, a rendere così difficile una mediazione è, oltre all'oggettivo peso specifico della questione, l'intreccio delle specifiche partite che ciascuno dei protagonisti gioca. Renzi ha bisogno di mettere in risalto il proprio ruolo, rivolgersi all'elettorato centrista, un tempo bacino privilegiato di Forza Italia, e di mettere alle corde il Pd indicandolo come "colonizzato" dalle parole d'ordine del M5S. Che si lasciasse sfuggire un'occasione così ghiotta era impossibile. L'elemento che avrebbe dovuto garantire deterrenza, cioè la pura di elezioni anticipate che Iv oggi non potrebbe affrontare, è stato quasi totalmente disinnescato dalla convinzione di Renzi che non si voterà in nessun caso. Sia perché i 5S possono oggi permettersi di sfidare le urne ancor meno di lui, sia perché se anche scegliessero la via più estrema in qualche modo una nuova maggioranza emergerebbe in Parlamento, con la benedizione di Sergio Mattarella che non ha alcuna intenzione di sciogliere la legislatura. Dunque l'ex premier è certo di giocare sul sicuro e dunque gioca tanto più duro.Il calcolo dell'ex premier è probabilmente fondato. Non solo perché è molto improbabile che i 5S reagiscano alla spaccatura provocando la crisi ma anche perché, in questo caso, sarebbe praticamente certo l'ingresso in una nuova maggioranza di una parte dei gruppi di Forza Italia e molto probabile la permanenza dell'ala più governista dei 5S, ampiamente maggioritaria nei gruppi parlamentari. In ogni caso, il "dialogo" ormai palesemente in corso tra Iv e la Lega rende possibile, in situazioni estreme, persino ipotizzare una sorta di "maggioranza di unità nazionale" dalla quale, secondo le voci incontrollate ma circolanti ovunque tra Montecitorio e palazzo madama, resterebbe fuori, a destra, solo FdI. Il Pd si trova in una situazione opposta a quella di Renzi. Zingaretti ha sperato sino all'ultimo di evitare lo scontro, ritenendo evidentemente le prospettive di alleanza con i 5S e la difesa del governo più importanti di un particolare come l'esistenza o meno della prescrizione. Nel merito, infatti, i democratici hanno sempre pensata come Renzi, ma il merito, si sa, per il nazareno è sempre meno rilevante delle tattiche politiche. Si sono però trovati in una posizione indifendibile, sia per l'offensiva di Renzi, che oltretutto difende la riforma del democratico Orlando, sia per il diluvio di bocciature che hanno seppellito la riforma Bonafede. A questo punto il Pd è costretto a tenere duro: posizione scomoda perché le ricadute positive in termini di immagine andranno tutte a Renzi, quelle negative, che i 5S cercheranno di amplificare al massimo, colpiranno invece proprio il Pd. Oltre a indebolire il governo, prospettiva che il Nazareno considera, a differenza di Renzi, nefasta.La via d'uscita, per il Pd, passa per un accordo in extremis realizzato grazie alla mediazione di Conte, invocata del resto da tutti quotidianamente. In teoria si tratta di una via facilmente praticabile. La proposta di congelamento del blocco della prescrizione per un anno, avanzata da Iv, potrebbe essere portata a sei mesi dribblando così l'ostacolo e probabilmente neppure Renzi potrebbe opporsi. Una parte sostanziosa del gruppo dirigente 5S, da D'Incà allo stesso Crimi, passando per Patuanelli, Lombardi e Taverna, sarebbe probabilmente disponibile. Ma a precludere l'uscita di sicurezza è lo scontro interno ai 5S: Di Maio e con lui l'ala autonomista, contraria all'accordo con il Pd che insorgerebbero seduta stante.E' questo mix di interessi e scontri interni all'interno della maggioranza che sta rendendo il braccio di ferro sulla prescrizione una replica di quello sulla Tav nella precedente maggioranza. Il compito di evitare il disastro è del premier e nessuno più di lui è interessato a farcela. Perché se su questo fronte molti si giocano molto, Giuseppe Conte è il solo a giocarsi tutto.