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ALBERTO BALBONI POLITICO
«Stabilità dei governi e legame tra premier eletto e cittadini». Sono i punti irrinunciabili del premierato secondo il meloniano Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato che illustra gli emendamenti della maggioranza, che l’opposizione, almeno per ora, ha rispedito al mittente.
Presidente Balboni, quali sono le principali novità negli emendamenti della maggioranza al premierato?
Il testo iniziale prevedeva la possibilità, in caso di cessazione del premier dalla carica, che si potesse incaricare un secondo premier nell’ambito della stessa maggioranza e per l’attuazione dello stesso programma. La cosiddetta norma antiribaltone che tanto ha fatto discutere Esatto, il problema che ci hanno fatto presente praticamente tutti gli oltre 50 costituzionalisti che abbiamo audito è che la caduta del secondo premier avrebbe portato allo scioglimento delle Camere, e questo gli avrebbe dato un potere enorme, perché poteva minacciare in qualsiasi momento le dimissioni condizionando il Parlamento. Era un’incongruenza: davamo più poteri al sostituto piuttosto che al premier eletto. E così è cominciato un dibattito tra chi voleva il simul stabunt simul cadent, che forse sarebbe la soluzione più logica, e chi voleva privilegiare la stabilità della legislatura.
Lei, non l’ha mai nascosto, è per il simul simul: perché?
Perché premier eletto e Parlamento sono due organi di pari legittimazione: il Parlamento è collegiale e il premier monocratico ma entrambi hanno legittimazione diretta del voto popolare. E anzi sappiamo che il premier, per effetto del premio di maggioranza, si portava dietro anche il 55% degli eletti. C’è insomma un rapporto di simbiosi: possiamo parlare di un sinallagma genetico. E però come sempre bisogna trovare una soluzione di equilibrio perché bisogna contemperare questo principio con l’esigenza di stabilità.
A quale soluzione siete arrivati?
Ci possono essere dei casi in cui il premier viene meno non perché si è rotto il rapporto fiduciario con il Parlamento ma per cause sopravvenute indipendenti dalla sua volontà, per esempio la morte, o anche la decadenza dopo una condanna per gravissimi reati. In questi casi, ma anche in caso di dimissioni volontarie, si può immaginare un secondo premier che prosegua il programma del premier eletto. Sarà nominato dal presidente della Repubblica e farà parte ovviamente della stessa maggioranza del primo premier. Nel caso di rottura del rapporto sinallagmatico tra premier e sua maggioranza, allora è giusto dare la possibilità di restituire la parola agli elettori. In questo caso lo scioglimento delle Camere non è automatico ma il premier eletto può dimettersi e a quel punto si tornerebbe all’iter di cui sopra.
Cosa si intende per rottura del rapporto fiduciario?
Su questo stiamo ancora discutendo e abbiamo chiesto il parere dei giuristi per capire se debba intendersi solo l’approvazione di una mozione di sfiducia o anche la bocciatura di una questione di fiducia posta dal governo. Quel che preme sottolineare è che è salvaguardato il principio che l’ultima parola spetta al premier eletto. Il premio di maggioranza del 55% a cui accenna poco fa è saltato: perché? Perché si trattava di un’ingessatura eccessiva. Indicando specificatamente una percentuale bisognava anche indicare una soglia minima perché il premio scattasse. Su questo la Corte costituzionale è stata chiara: una coalizione con il 25- 30% non può avere un premio sproporzionato. Allora abbiamo ritenuto che fosse più rispondente al modo in cui è scritta la nostra Costituzione indicare i principi ai quali la legge elettorale si deve uniformare e poi lasciare che sia essa a definire in modo dettagliato come deve funzionare l’assegnazione del premio.
I partiti discutono molto di limite ai mandati di sindaci e governatori, e questo è un punto che riguarda anche il premierato: come siete intervenuti?
Molti costituzionalisti ci hanno fatto osservare che quando c’è un’elezione diretta di un organo monocratico di solito c’è sempre un limite ai mandati, basta vedere a sindaci, presidenti di regione ma anche al presidente degli Stati Uniti. E così abbiamo introdotto un limite di due mandati elevabili a tre in caso di interruzione anticipata di una delle due legislature per oltre la metà. In sostanza, allo scattare dei sette anni e mezzo un premier non può più essere rieletto.
Per i sindaci e i presidente di Regione la Lega pensa ancora che si debba concedere un terzo mandato: lei come la pensa?
Nel decreto elezioni abbiamo abolito il limite ai mandati nei piccoli comuni, abbiamo stabilito i tre mandati dai 5mila ai 15mila ma da 15mila in su il limite dei due mandati rimane, come rimane per i governatori di regione. Non credo sia opportuno concentrare troppo potere nelle mani di una sola persona troppo a lungo. È un problema di funzionamento delle istituzioni, personalizzare troppo non è mai positivo.
C’è poi la revoca dei ministri: come siete arrivati a una soluzione?
In questo caso, sempre su proposta del premier eletto, il presidente della Repubblica nomina e revoca (qui sta l’aggiunta) i ministri. Non c’è mai stata concordia tra i costituzionalisti su chi avesse potere di revoca dei ministri. Ora abbiamo stabilito che il capo dello Stato, oltre che nominarli, può anche revocarli. Altro che limite ai poteri del Quirinale...
Considerate questo testo blindato?
I nostri emendamenti saranno firmati da tutti i capigruppo della maggioranza, e quando avranno il via libera dei leader saranno depositati. Poi inizierà il confronto e il dibattito in commissione e in Aula con le opposizioni. Ma io diffido sempre di chi pensa di avere la verità in tasca, quindi il dialogo è ben voluto. Eppure Pd e M5S dicono che il testo non è emendabile e che il loro è un “No” secco. Come risponde? Lo dicevano anche sull’Autonomia, e poi dei 90 emendamenti approvati più della metà erano dell’opposizione. Vede, un conto sono gli slogan di propaganda, un altro è ragionare nel merito. Il testo dell’autonomia è stato molto migliorato rispetto a come era partito. Chissà che anche in questo caso non saltino fuori idee da accogliere e approvare all’unanimità.
Quali sono per voi i punti irrinunciabili?
Guardi, è uscito di recente uno studio che dice che negli ultimi dieci anni l’Italia ha avuto danni per 200 miliardi di euro e ha perso circa 300mila posti di lavoro a causa degli interessi aumentati per l’instabilità. Se vogliamo convincere gli imprenditori a investire in Italia dobbiamo far sapere loro qual è la strategia di governo dei prossimi 5 e possibilmente 10 anni, non dei prossimi 14 mesi. Quindi servono stabilità dei governi e legame inscindibile tra premier eletto e cittadini.