Aria di festa, nel tardo e torrido pomeriggio romano, in casa Fratelli d’Italia. Mentre Forza Italia fa i conti con i mal di pancia degli eletti del Sud sull’Autonomia e la Lega scalpita per l’approvazione della stessa, la giornata dei senatori meloniani si è conclusa tra con un flash-mob annunciato già prima dell’apertura della seduta, condito dall’intonazione dell’inno di Mameli e dallo srotolamento di uno striscione recante la scritta «Fine dei giochi di Palazzo».

D’altra parte, nella settimana delle riforme, il primo voto parlamentare premia quella per cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiaramente espresso la propria preferenza. Si parla, ovviamente, del ddl Casellati sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, che ha fatto il primo passo del lungo, anzi lunghissimo cammino riservato alle leggi costituzionali.

L’aula del Senato, senza particolari tumulti o momenti di tensione, ha infatti approvato con 109 voti favorevoli, 77 contrari e un astenuto il premierato, che ora passa a Montecitorio per completare la prima delle due letture previste per ogni ramo del Parlamento. Una volta che il testo sarà approvato anche a Montecitorio, dovranno passare almeno tre mesi per procedere alla seconda lettura, che per essere definitiva dovrebbe ottenere una maggioranza favorevole dei due terzi di ogni camera, cosa praticamente impossibile con gli attuali numeri. Ragion per cui, gli sforzi di Palazzo Chigi si stanno già orientando alla inevitabile campagna referendaria, che in passato si è rivelata fatale per le riforme promosse da Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.

Sul clima di sostanziale compostezza che ha accompagnato le dichiarazioni e il voto finale, verosimilmente, ha influito il fatto che il fronte del premierato non è quello più urgente dal punto di vista della battaglia delle opposizioni, che si erano contemporaneamente ritrovate a Piazza Santi Apostoli per protestare anzitutto contro l’Autonomia, in dirittura d’arrivo alla Camera.

All’inizio della seduta (che si era aperta con un commosso ricordo del generale Claudio Graziano, trovato morto nella sua abitazione lunedì), il presidente Ignazio La Russa aveva comunque voluto esorcizzare ogni possibile fuori programma dicendosi «sicuro che in questa occasione non vi sarà da parte di nessun senatore disturbo al civile confronto», col pensiero evidentemente rivolto alla rissa della scorsa settimana nell’altro ramo del Parlamento.

Dunque un dibattito relativamente tranquillo, in attesa che l’iter entri nel vivo. Tra gli interventi più significativi, dall’opposizione il capogruppo del Pd Francesco Boccia ha sottolineato che «l'Italia così passa dalla primazia del Parlamento alla primazia del governo. Una buona democrazia è tale se esiste al suo interno l'equilibrio tra i poteri, tra esecutivo e legislativo e tra gli stessi e il potere giudiziario». E non a caso, ha proseguito, «in questa bulimia di potere avete completato questo scambio politico tra le forze della maggioranza, garantendo irresponsabilmente a ognuno un pezzo di vita del Paese». Ricostruzione rispedita al mittente dal suo omologo leghista Massimiliano Romeo, il quale ha replicato «alle opposizioni che ci accusano di aver fatto uno scambio di riforme, tra premierato, autonomia differenziata e riforma della giustizia, che si chiama accordo politico».

Ha messo già nel mirino l’appuntamento referendario il pentastellato ed ex-ministro Stefano Patuanelli: «State cercando di stravolgere la Costituzione», ha detto, «per concentrare il potere nelle mani di una persona sulla base di una investitura popolare, spaccando il paese con l'autonomia differenziata che fa il male delle regioni più povere. Ma siamo pronti a confrontarci con la piazza e con il paese, che lo farà con il referendum: e io sono convinto», ha concluso, «che quello sarà l'inizio del vostro declino». Per l’azzurro Maurizio Gasparri «la scelta è tra questa democrazia affidata ai cittadini e l'intrigo che è quello che è servito a qualcuno per arrivare al governo», mentre per il partito di maggioranza relativa è stata Giorgia Meloni in persona, con un post sui social, a manifestare la propria soddisfazione per un «primo passo in avanti per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati».

Venerdì, al netto dell’ostruzionismo dell’opposizione, a esultare dovrebbe essere la Lega, ma intanto Fi, tentando di placare l’inquietudine dei malpancisti raccolti attorno al governatore calabrese Roberto Occhiuto, ha presentato quattro ordini del giorno collegati al testo Calderoli. Dovrebbero essere votati oggi e vorrebbero introdurre dei paletti sulla definizione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione che tutte le regioni dovranno garantire.