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Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in occasione del convegno “La Costituzione di tutti, dialogo sul Premierato”, tenutosi presso la Camera dei Deputati a Roma
Martedì scorso la conferenza dei capigruppo della Camera ha stabilito che le votazioni in aula sul ddl Calderoli per l'Autonomia differenziata inizieranno la terza settimana di questo mese, quindi approssimativamente attorno al 21. Ieri, con una decina di giorni di ritardo rispetto alla sua riforma “gemella”, al Senato è iniziata la discussione generale di ciò che per la premier Giorgia Meloni è imprescindibile, vale a dire l'introduzione dell'elezione diretta del presidente del Consiglio. Un quadro della situazione che smentisce plasticamente le excusationes non petitae degli esponenti della maggioranza, quando questi affermano che non esiste un accordo ai massimi livelli per far procedere in parallelo i due provvedimenti. Quasi sicuramente, complice anche lo stop dell'attività parlamentare decretato per la settimana precedente le elezioni, nessuno dei due testi sarà approvato prima delle Europee, ma la cosa è stata ampiamente anticipata e non desta - almeno ufficialmente - particolari malumori nel gruppo dirigente del Carroccio, che a differenza di Palazzo Chigi vede il traguardo vicinissimo per la propria riforma- bandiera.
Occorre non dimenticare, infatti, che il ddl sull'Autonomia differenziata è stato già approvato al Senato e, essendo una legge ordinaria, ha bisogno solamente del sigillo della Camera sul testo uscito da Palazzo Madama, per diventare definitivamente legge. È anche vero che, scorrendo gli articoli e la complessità dei meccanismo in essa previsti, l'Autonomia non poterà andare a regime prima di due anni dalla sua approvazione e in Italia due anni sono un tempo politico enorme. Detto questo, come era prevedibile, le opposizioni hanno già scoperto le carte sull'ostruzionismo selvaggio che hanno intenzione di adottare su entrambi i fronti, moltiplicando gli interventi dei propri parlamentari, utilizzando tutto il tempo a disposizione fin dalla fase del dibattito per poi presentare migliaia di emendamenti e illustrarli tutti. Ci sarà anche la possibilità di fare campagna elettorale, come dimostra la scelta dei dem di manifestare il 2 giugno in difesa della Costituzione.
Tutto questo, però, era ampiamente atteso dalle forze di maggioranza, che invece stanno tenendo la guardia alta su un fronte molto più pericoloso, quello dei possibili scrutini segreti, occasioni ghiotte per franchi tiratori e per chi vorrebbe sabotare i piani degli alleati senza lasciare tracce. In un contesto così delicato, fatto di mal di pancia non dichiarati oppure conclamati come quelli di Fi per l'Autonomia, lo scrutinio segreto su un emendamento o su un singolo articolo del testo potrebbe far deflagrare la situazione e incenerire gli accordi, con conseguenze incontrollabili sulla tenuta del governo.
E non a caso, c'è chi è stato molto previdente su questo fronte, come ad esempio Calderoli, ritenuto unanimemente una vecchia volpe dei regolamenti parlamentari. Il suo ddl, infatti, è formalmente un collegato alla Legge di Bilancio dell'anno scorso e come tale, a norma di regolamento parlamentare, non può essere sottoposto a votazioni segrete. Ieri gli specialisti d'aula del Pd, quando hanno avanzato agli uffici della presidenza di Montecitorio l'ammissione di alcuni scrutini segreti, si sono visti opporre questa motivazione. Verosimilmente, accadrà lo stesso al Senato per il premierato, perché difficilmente le opposizioni potranno convincere la presidenza che si tratta di argomenti inerenti i diritti civili o libertà individuali. La partita interna al centrodestra, dunque, si giocherà tutta sul risiko del calendario incrociato tra i due rami del Parlamento per le due riforme citate, mettendo anche nel calderone quella della giustizia, annunciata e prossima alla presentazione in Consiglio dei ministri, anelata da Forza Italia e già all'origine di polemiche furibonde e di sospette - secondo qualcuno - rappresaglie della magistratura, sotto forma di indagini e arresti di autorevoli esponenti della maggioranza ( vedi Toti).
Come si diceva, il percorso del premierato è all'inizio e prevede ben quattro letture e un referendum confermativo: per dare una frustata alla “madre di tutte le riforme”, Giorgia Meloni è scesa in campo personalmente ed ha parlato a un convegno sul tema, che si è svolto alla Camera e al quale hanno presenziato esponenti di tutti i settori della società civile e alcuni volti noti al grande pubblico. Rivolgendosi indirettamente al Pd, nel giorno in cui ha annunciato la manifestazione contro il premierato, la presidente del Consiglio ha criticato chi «anche in questo dibattito ritiene di essere il depositario esclusivo della Costituzione e così facendo ne mette in crisi la funzione unificante che è propria della nostra Costituzione».
«Se la Costituzione è di tutti», ha aggiunto Meloni, «la sua interpretazione non può privilegiare solo una cultura politica». Sempre rivolgendosi all'opposizione, prima di rivendicare i contenuti del testo Casellati e la necessità di rafforzare la sovranità popolare, la premier si è rammaricata del fatto che il tema «è approcciato con un'impostazione ideologica, soprattutto legata a interessi contingenti, ma sarebbe un errore da parte della politica indietreggiare e gettare la spugna di fronte a questo atteggiamento». «La Carta», ha concluso, «non è esclusiva di una sola parte».