E alla fine il famoso “elmetto” evocato dalla premier Giorgia Meloni per la campagna elettorale se lo sono messi tutti i leader politici. Ma il paradosso è che se lo sono messi per l'unico argomento per il quale l'inquilina di Palazzo Chigi non avrebbe voluto il muro contro muro né con un potere dello Stato, né con l'opposizione. Stiamo parlando, ovviamente, della giustizia, dove la strategia di cautele e di volontà parziale di concertazione della presidente del Consiglio è crollata nell'arco di una mattinata, con l'arrivo del provvedimento cautelare per il governatore ligure Giovanni Toti. Una strategia meditata, fatta di gradualità e di diplomazia, messa a punto col sottosegretario ed ex- magistrato Alfredo Mantovano, che può essere considerato uno dei pochi esponenti dell'attuale maggioranza con cui il mondo delle toghe si interfaccia per comunicare con l'esecutivo.

Dieci giorni fa, in un incontro nella sede del governo in cui erano presenti il guardasigilli Carlo Nordio, il suo viceministro Sisto e i sottosegretari Delmastro e Ostellari, nonché i presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, la presidente del Consiglio si era raccomandata con insistenza di non urtare in alcun modo la suscettibilità della magistratura organizzata, già sul piede di guerra in attesa del ddl costituzionale di riforma contenente la separazione delle carriere. Un atto che tardava ad arrivare proprio per la ritrosia della premier a buttarlo nello stesso calderone del premierato, soprattutto in campagna elettorale, ma che non poteva più essere procrastinato a causa delle pressioni sempre più insistenti di Forza Italia, impaziente di incassare la propria quota dell'accordo di maggioranza sulle riforme di legislatura.

Poi, la bomba- Toti, che ha fatto avverare repentinamente a tutti i peggiori timori di Meloni, che verosimilmente ritarderà ulteriormente la presentazione del ddl, dopo che Nordio ha saggiato che aria tira al congresso dell'Anm, ma che ha ridato vigore all'antico e irrisolto conflitto sulla giustizia, sia tra organi costituzionali che all'interno della stessa politica. E se da una parte alcune recenti iniziative dei magistrati hanno fatto gridare alla giustizia a orologeria, dall'altra il dibattito che ne è seguito ha riportato la trentennale questione al centro del dibattito, e per chi sostiene da tanto tempo la necessità di una riforma non è del tutto una cattiva notizia. Lo è però per la premier, che nella bagarre vede solo potenziali pericoli: per la stabilità della maggioranza, per il “suo” premierato, per le ripercussioni internazionali alla vigilia del G7 da lei presieduto, e infine per la coesione del suo stesso partito.

Come già accaduto per la questione della commissione d'inchiesta sui dossieraggi all'interno della Dna a carico di vip e politici, l'alfiere della lotta alla magistratura politicizzata è un uomo di FdI, nella persona del ministro della Difesa Guido Crosetto, il quale sta dando corso a una vera e propria escalation di dichiarazioni contro le toghe che utilizzano le inchieste per scopi politici.

Un crescendo polemico fatto di termini forti come «ribrezzo» usati per colleghi di governo che a suo avviso speculano politicamente sulla vicenda Toti «scaricando» il governatore e di continui attacchi ai «pm politicizzati», paura di «ritorsioni» dei magistrati, i quali gli hanno risposto a tono attraverso il presidente dell'Anm Santalucia. L'ulteriore paradosso è dato dal fatto che è il co- fondatore del partito della premier a richiamare ai propri obblighi di garantismo il partito ( FI) che sta incalzando la stessa premier sulla riforma della giustizia.

Un cortocircuito, insomma, dove a dare manforte a Crosetto sul garantismo - come accaduto per la commissione sul dossieraggio - è il leader leghista Matteo Salvini, che ha candidato come uomo di punta per le Europee quel generale Vannacci che ha fatto andare su tutte le furie il ministro per le sue uscite pubbliche ed editoriali, tanto da essere oggetto di provvedimenti disciplinari. In questa rincorsa, i flash d'agenzia riportano di esponenti del Carroccio come Riccardo Molinari che prima alludono al controllo dei pm da parte dell'esecutivo e poi mettono a punto. E sul versante dell'opposizione, dopo le richieste di dimissioni per Toti, avanzate assieme al Pd, con l'evocazione da parte di Giuseppe Conte della P2 e del Piano di rinascita nazionale come programma occulto dei centrodestra il ritorno al deja- vu anni 90 è definitivamente servito.