Nota di scostamento sui conti pubblici: 181 voti, 20 in più dei 161 necessari. Sono tanti ma un simile risultato era prevedibile, essendo la maggioranza compatta. La sorpresa col voto a maggioranza relativa sulla Nota di aggiornamento al Def è una sorpresa amara per Mdp, che aveva scelto con gran clamore di astenersi dal voto: 164 Sì, tre in più della maggioranza assoluta, sette in più rispetto alla maggioranza “ufficiale”. E’ la prova che dimostra «in modo defini-tivo l’irrilevanza non solo politica ma anche numerica dell’Mdp», rigira il coltello nella piaga con un Tweet al curaro Giachetti. Lo smacco, innegabile, è destinato a incidere sullo showdown che si è aperto ieri nell’area Campo progressista- Mdp, quella che riunisce gli scissionisti del Pd, gli esponenti di Sel che non hanno aderito a Sinistra italiana, più figure non riconducibii a nessun partito come Bruno Tabacci e Gad Lerner.

Nella mattinata di ieri, intervistato da Radio Capital, Pisapia ha lanciato la controffensiva mirando direttamente, e per un volta senza infingimenti, al capo del fronte avversario, Massimo D’Alema, che la sera prima, in Tv, non aveva risparmiato attacchi al governo e, indirettamente, a chi con il Pd di Renzi mantiene le porte aperte: «E’ divisivo. Sa che io sono a disposizione di un progetto unitario e continua a fare dichiarazioni che dividono. Dovrebbe fare un passo di lato». E Renzi, non è “divisivo” anche lui? «Sì lo è. Però ha preso due milioni di voti alle primarie». Sembra una scelta di campo: probabilmente lo è. «Non c’è nessuno strappo con Mdp. Ora inizia un percorso», ripete l’ex sindaco ma è l’ormai consueto gioco a rimpiattino. Lo strappo c’è stato eccome. La scelta di non votare il Def, annunciata da Speranza ai cronisti convocati apposta martedì pomeriggio di fronte al Senato e arricchita con critiche durissime sulla manovra ( «Voteremo la Nota di scostamento solo per risparmiare al Paese l’esercizio provvisorio» era in rotta di collisione con i toni bassi mantenuti sempre dal leader ( più di nome che di fatto) Pisapia. Le dimissioni “per coerenza” del sottosegretario Bubbico, unico esponente Mdp al governo, avevano rincarato e l’affondo serale di D’Alema aveva completato l’opera.

Ma la prova finale dello strappo si è avuta quando il governo ha tentato di recuperare gli scissionisti del Pd con classiche aperture formali: nessun impegno ma la promessa di provare a limitare i superticket, cavallo di battaglia dell’Mdp sul fronte Def. Niente da fare. «Se fosse bastato l’impegno nella risoluzione avremmo partecipato alle riunioni per la sua stesura», replica a caldo il senatore Fornaro. «Non basta. Non sono ancora arrivati segnali veri», chiude i giochi la capogruppo Cecilia Guerra.

Non è che il Def sia solo una scusa. L’assenza dei segnali richiesti al governo su un cambio d’indirizzo in politica economica e sullo Ius Soli ha il suo peso concreto. Ma di certo la manovra è anche un casus belli che maschera la vera divisione: quella tra chi, come Pisapia, vuole arrivare alle elezioni senza allargare a sinistra, per tenersi le mani libere in vista di una possibile alleanza col Pd, e chi, come D’Alema, vuole aprire a sinistra per costruire un soggetto contrapposto al Pd di Renzi.

Il problemino è che neppure se a spuntarla fossero i dalemiani la partita sarebbe risolta. Il Prc comunque non entrerebbe nell’alleanza perché considera ostativa la presenza dei vecchi leader Ds/ Pd come Bersani e lo stesso D’Alema. Ma anche tra le formazioni meno dissimili gli ostacoli non mancano. Mdp propone un soggetto a tutti gli effetti, un partito. Sinistra italiana non è disponibile e contropropone un obiettivo più modesto: presentarsi insieme alle elezioni, poi si vedrà. Si aggiunga che nell’area formalmente guidata da Pisapia il braccio di ferro non è risolto ed entrambi i contendenti cercano di rinviare all’infinito il momento della verità.