Parlare di commissariamento e di troika adesso che il Fondo monetario internazionale e Bankitalia forniscono stime di crescita costante di 1,4% di Pil e prevedono lo stabilizzarsi del trend positivo durante il 2018 può apparire surreale. E tuttavia, a guardare meglio, l’ipotesi di un commissariamento dell’Italia risulta una prospettiva meno peregrina di quanto appaia. La fine del Quantitative easing europeo, progressiva e graduale quanto si vuole, è stata annunciata da Mario Draghi in queste ore con molte preoccupazioni per il supereuro e potrebbe costituire il primo segnale di allarme di cui tenere conto. Il centro studi di Confimprenditori, in un suo documentato report, sostiene non a caso la tesi che uno scenario di crisi sistemica non sia affatto sventato per il nostro paese. Malgrado le stime di crescita infatti - comunque molto inferiori rispetto alle medie europee - “il quadro generale economico italiano resta assolutamente incerto per il presente e venato di tinte piuttosto fosche per gli anni a venire. Inoltre - si legge sempre nel report - l’incertezza sul piano politico che ha accompagnato l’Italia negli ultimi anni rischia di accompagnarla nella futura legislatura”. La gravità dell’impasse della situazione italiana fornisce così spunti per rendere alcuni scenari di commissariamento dall’esterno non del tutto improbabili, come quello in cui dalle prossime elezioni esca un governo debole, con maggioranza numericamente flebile, oppure un Parlamento appeso, che potrebbero esporre il Paese ad una pesante conditionality esterna da parte dell’Unione Europea e delle istituzioni internazionali. Va anche considerato, ricordano gli analisti di Confimprenditori, che da fine 2017 il debito pubblico italiano potrebbe non essere più protetto dal quantitative easing della Bce, con la conseguenza che la pressione sui titoli di Stato italiani potrebbe salire di molto. In questo caso qualunque governo sarà chiamato ai tavoli internazionali per presentare un piano credibile sul debito e la crescita. Del resto la situazione dei conti pubblici e del sistema bancario italiano restano molto gravi e a parte gli interventi emergenziali come il Salvabanche le riforme per risolvere queste crisi si sono incagliate mentre le prossime elezioni – e questo è il punto focale dell’analisi - potrebbero produrre un quadro molto incerto, del tutto inadatto a gestire un quadro economico ancora sismico. A destare maggiore preoccupazione sono, ad oggi, indicatori sensibili come “la tenuta del sistema bancario italiano, lo stallo nel processo di implementazione delle riforme strutturali di cui il Paese necessita, lo stato dei conti pubblici e l’alto tasso di disoccupazione”. Per non parlare di un’altra grande anomalia del sistema italiano: il contenzioso civile enorme, per quantità di cause proposte, rispetto al resto dei Paesi Ue che determina un’inevitabile lentezza nell’esecuzione della giustizia: sempre secondo Confimprenditori si tratta del “maggiore impedimento per lo sviluppo delle attività di impresa” che influisce “negativamente anche sull’attrazione di capitali e investimenti dall’estero”. A tutto ciò deve essere aggiunto il quadro internazionale che sembrerebbe mutare verso logiche protezioniste e una fase di recessione per le economie emergenti La gravità dell’impasse della situazione italiana fornisce dunque spunti per rendere alcuni scenari di “commissariamento” dall’esterno non del tutto improbabili, come quello in cui dalle prossime elezioni – come si accennava - esca un quadro politico instabile o addirittura ingovernabile. Anche un governo di larghe coalizioni non garantirebbe nulla. Il Nazareno tra Renzi e Berlusconi non ha infatti prodotto riforme strutturali – secondo Confimprenditori – e sia il centrodestra che il centrosinistra alla fine dei propri man- dati, hanno lasciato il Paese con un debito pubblico maggiore di quando sono entrati in carica e non sono riusciti a ridurre la spesa pubblica e le imposte né a riformare una amministrazione largamente inefficiente. Non a caso siamo il Paese che cresce meno in Europa”. Va anche considerato un altro fattore: “nel corso della campagna elettorale le promesse a suon di denaro pubblico si sprecheranno da tutte le parti. Chiunque arriverà a Palazzo Chigi sarà costretto a metterne via buona parte per misurarsi con la politica, quella vera. Con un debito pubblico su Pil del 133% e con banche ancora sofferenti ( enorme l’ammontare dei non- performing loans) non si parte mai in posizione di forza, soprattutto se il quantitative easing dovesse finire. In questo caso la morsa delle istituzioni internazionali potrebbe stringersi e il programma di governo potrebbe essere pesantemente condizionato dalle richieste esterne, proprio come in Grecia”. Che lo scenario non sia così peregrino è testimoniato dalle raccomandazioni all’Italia diffuse dalla Commissione Europea nei mesi scorsi: lotta all’evasione fiscale, reinserimento della tassa sulla prima casa dei più abbienti, riforma del catasto sono le policy suggerite, tra le altre, da Bruxelles. “Questi suggerimenti, nel 2018, potrebbero diventare sempre più stringenti e se la situazione post- elettorale dovesse essere ancora incerta la pressione finanziaria e politica potrebbe salire costringendo qualsiasi nuovo governo a concordare una serie di misure ancor più vincolanti. In Grecia si è chiesto un taglio delle pensioni e dei dipendenti pubblici, liberalizzazioni e privatizzazioni, aumenti dell’imposizione fiscale. Un mix rapido, ma anche molto doloroso, per rientrare nei parametri europei: tagli di spesa immediati ( e quelli che si possono fare subito sono quelli diretti su pensioni/ servizi) e aumento della tassazione”. Questo scenario segnerebbe inoltre la fine delle politiche di alleggerimento fiscale per le imprese e questo è, realisticamente, ciò che la Troika potrebbe chiedere se il Paese si trovasse scoperto sui mercati internazionali diventando un grosso fattore di rischio per l’area euro” Il Centro studi di Confimprenditori indica tuttavia delle priorità di intervento per invertire il processo: “riduzione del cuneo fiscale, nessun aumento dell’Iva, semplificazioni burocratiche e amministrative, scambio tra azzeramento dei finanziamenti pubblici alle imprese e riduzione della pressione fiscale sulle stesse”. Senza imprese infatti non c’è Italia e questo lo dicono i numeri, “le Pmi occupano quasi 4 milioni di italiani e fatturano oltre 850 miliardi di euro, ma lo sanno anche le istituzioni internazionali con cui qualsiasi governo dovrà, nel futuro, relazionarsi”.